Enrico Letta apre a una possibilità di trattativa sul ddl Zan e tra i renziani è tutto un balletto di sorrisi e pacche sulle spalle: «Avevamo ragione noi», festeggiano. «Lo avevamo sempre detto» twitta l’ex forzista Donatella Conzatti, oggi senatrice di Italia Viva. «Le leggi si fanno con i numeri, il resto è inutile perdita di tempo e demagogia» le fa eco il deputato Ettore Rosato. Parole che trovano sintonia anche dentro la Lega: «Letta prende atto che il ddl Zan è impresentabile» commenta Simone Pillon. Non esattamente.
«Modifiche» ha specificato il segretario del PD ospite domenica a Che Tempo Che Fa, «purché non siano cose sostanziali». Bisogna far fede alle parole, sono la cosa più importante quando si discute di un disegno di legge contro i reati d’odio che dal novembre 2019 infiamma il dibattito. E sono quelle che rischiano di cambiare e modificare totalmente l’impianto della legge contro l’omotransfobia. Va da sé che ad oggi sul ddl Zan se non c’è accordo è perché nessuno si fida di nessuno. Ogni partito insegue il filo della propria trama cambiando posizione, alzando muri oppure chiedendo modifiche, ritocchi, cancellando o omettendo trattative già concluse e approvate.
La Lega, trainata da Matteo Salvini, negli ultimi mesi ha costruito una fortezza contro il ddl Zan escludendo ogni possibilità di trattativa auspicata da Letta: «Io gli aumenti di pena per chi discrimina, offende o aggredisce due ragazzi o due ragazze che si amano le approverei oggi stesso», diceva l’8 luglio nel corso dell’assemblea di Noi per l’Italia, al Teatro Quirino di Roma. Alla velocità di un tweet la sua posizione diventa meno netta: il 22 luglio chiede «col cuore in mano che il Pd accetti il dialogo». Il 27 luglio sbatte la porta: «Il ddl Zan lo lascio agli altri, noi ci occupiamo di lavoro e famiglie». Da Lanciano, in provincia di Chieti, il 12 settembre in piena campagna elettorale mette infine un punto: «Mi attaccano tutti, ma io porto avanti le mie battaglie contro tasse, sbarchi, Ius Soli e ddl Zan». Contro. Mai a favore. Per capirlo sarebbe comunque bastato leggere i 672 emendamenti presentati proprio dalla Lega. Quasi tutti soppressivi al disegno di legge. Oppure la richiesta di non passaggio agli articoli (proposta presentata dal leghista Roberto Calderoli in coppia con il collega di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa). Si deciderà mercoledì con voto segreto, l’arresto definitivo del disegno di legge contro l’omotransfobia è a un passo, nessuna discussione o mediazione.
Dentro la maggioranza pro-Zan, si fa per dire, spicca per richieste di modifica Italia Viva. Di emendamenti al testo ne ha presentati solo quattro, chirurgici. Uno è da vertigine: interviene sul primo articolo della legge, quello proposto da Italia Viva stessa alla Camera e approvato con orgoglio dai renziani. L’articolo più disconfitto negli ultimi mesi, quello della formulazione delle definizioni: orientamento sessuale, sesso, genere, identità di genere.
L’articolo 1 nasce da un emendamento (ancora visibile agli atti) a prima firma Lucia Annibali, deputata di Italia Viva. Il suo inserimento nell’impianto della legge arriva da una richiesta della Commissione Affari Costituzionali della Camera: fare riferimento a definizioni giuridicamente precise e il più possibile consolidate nella giurisprudenza. Italia Viva, dunque, presenta e ottiene l’inserimento dell’articolo così come lo conosciamo. Oggi la richiesta del partito di Renzi al Senato è di soppressione dello stesso e di un ritorno alla formula: “omofobia e transfobia”. Un passo indietro che riporta alla mente tutti i tentativi di legge degli ultimi 25 anni, quelli naufragati per assenza di precisione tecnica. Come già raccontato su L’Espresso: i termini “omofobia” e “transfobia” sono usati nel linguaggio politico che è diverso da quello giuridico. Vanno bene per la denominazione della giornata contro l’omofobia e transfobia, per esempio, ma non per la denominazione di un movente di reato, che richiede parametri più precisi. “Omofobia” e “Transfobia” inoltre sono termini che non assicurerebbero protezione a tutte le soggettività che il ddl Zan si propone di tutelare. Quei reati d’odio sulle persone bisessuali, non binarie o gender non conforming, non riconducibili alla condizione transessuale e, dunque, alla transfobia.
Se il problema è, come dichiarato spesso dal capogruppo di IV Davide Faraone, il concetto di “identità di genere”, queste tre parole restano anche dopo la soppressione del primo articolo. Il concetto di identità di genere resta negli articoli 2 e 3 (che modificano il codice penale e il codice di procedura penale) essendo una definizione già presente nella legislazione italiana, ma anche nel diritto europeo e nella giurisprudenza delle più alte Corti.
Le modifiche all’articolo sulla libertà d’espressione o pluralismo delle idee (art. 4) illuminano un’altra giravolta. Questa volta di quel centrodestra favorevole del ddl. Il “rispetto della libertà d’espressione” è frutto di un lavorio portato avanti da Enrico Costa, all’epoca deputato di Forza Italia oggi in Azione. Presenti alla trattativa con il Pd c’erano Giusi Bartolozzi (ex azzurra oggi al Misto) ma anche Francesco Paolo Sisto, oggi Sottosegretario alla Giustizia nel Governo Draghi in quota berlusconiana.
Forza Italia decise che bisognava specificare che la legge contro l’omotransfobia, l’abilismo e la misoginia non colpisse la libertà di espressione. Precisazione non necessaria dal punto di vista giuridico ma politicamente obbligata di fronte a un quadro politico incerto. Trattative, cambiamenti e infine ritocchi. Con un sospiro di sollievo il 4 novembre 2020 le larghe intese Pd-FI riescono. Oggi gli emendamenti firmati da Ronzulli-Binetti chiedono la modifica.
Fa discutere infine la richiesta di soppressione della giornata mondiale contro l’omotransfobia nelle scuole. “Richiesta inammissibile”, fanno sapere fonti dal Pd. Gli emendamenti sono i più disparati: i senatori Ostellari (Lega) e Ronzulli (Forza Italia) vorrebbero trasformare il 17 maggio nella “giornata contro le discriminazioni”. Eppure, dal 2004 è in tutto il mondo nota come “Giornata contro l’omotransfobia” e non è un caso. Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. In Italia, ogni anno, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e i Presidenti di Camera e Senato rilasciano dichiarazioni sul tema.
La legge Zan prevede che, in occasione della Giornata mondiale contro l’omotransfobia, le scuole organizzino attività di sensibilizzazione per «contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere». Prevenire atti di bullismo e discriminazioni. Nessuna scuola sarà obbligata a celebrarla, si legge nel ddl Zan: «Nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità». Ma per Italia Viva non basta, i senatori renziani Faraone e Cucca chiedono venga specificata anche “la piena autonomia scolastica”. Un’operazione di facciata che insegue una convinzione espressa dal leader Renzi in un’intervista rilasciata a luglio per Fanpage, cioè che il ddl Zan potrebbe aprire alla «teoria del gender e la presenza di alcuni di questi temi nella scuola», sintonia massima con il leghista Pillon, noto per la sua caccia alla stregoneria nelle scuole. Passi indietro e dimenticanze. Eppure nel 2016 era stata la sua “Buona Scuola” accusata di imporre la teoria del gender. Quell’anno la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini dovette smentirne l’esistenza con una circolare alle scuole. Oggi Renzi accusa il ddl Zan di imporre la stessa teoria nelle scuole.
Ma i margini per effettuare queste modifiche ci sono? Il padre del testo, il deputato Zan, non solo dovrà trattare con i suoi ex colleghi renziani per rassicurarsi quei 17 voti che mancano per approvare il testo. Ma in caso di modifiche dovrà cercare delle garanzie pubbliche per il terzo passaggio alla Camera. Il vicolo è stretto: chiudere in pochissimi giorni al Senato, costringere la Lega a ridurre i 672 emendamenti depositati, approvare la legge modificata e poi trovare una finestra alla Camera per calendarizzazione e votazione. Tutto questo mentre un’altra legge, decisamente più ingombrante, cioè quella di bilancio, viene discussa al Senato. Più che pontiere, a Zan toccherà interpretare il ruolo del funambolo che cammina sulla fune, in bilico sul baratro.
Sugli spalti per nulla contenti i diretti interessati a questa legge: la comunità lgbt. Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay ha bollato come «un fulmine a ciel sereno» l’uscita del segretario del PD Letta: «L’approvazione rapida del testo a prima firma Zan si avrebbe solo senza modifiche». Alessia Crocini presidente di Famiglie Arcobaleno è più corrosiva: «Questa legge è già frutto di un compromesso. Nella comunità la stanchezza di sentirsi sempre oggetti e mai soggetti ha ormai raggiunto il limite. Quando le leggi vengono ridotte o mediate a cambiare non è la vita di Renzi, Letta, Salvini o Berlusconi è la nostra. Stiamo difendendo una legge che avrebbe dovuto essere approvata 25 anni fa, siamo a un passo dal dare una chance al futuro di questo paese, ma come sempre non ci riusciamo».
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di Simone Alliva
espresso.repubblica.it
2021-10-26 13:28:00 ,