I sistemi intelligenti sulla Terra restano intelligenti anche nello Spazio? Quando si esce dalla propria atmosfera, nulla è scontato, nemmeno l’aiuto per respirare, figuriamoci tutte le applicazioni di robotica e AI che siamo abituati a usare “a casa nostra”. Ci sono meno dati, distanze maggiori e ambienti estremi e mai visti prima in cui muoversi con delicatezza e sicurezza non è banale. È quindi necessario guardare con gusto diverso anche a quelle nuove tecnologie che “nuove” ormai lo sono solo di nome. Con un incontro su “big data, AI e robotica nello Spazio”, l’International Astronautical Congress in corso in questi giorni a Milano (Iac2024) ce lo ricorda, e chiede anche ai più esperti di fermarsi a pensare, e ad ascoltare alcuni giovani ricercatori che ci stanno lavorando, per guardare coi loro le priorità del futuro.
Gestione della complessità
Una sfida prettamente terrestre ma di cui non ci libereremo andando nello Spazio, è quella dell’enorme e mezzaluna quantità di dati, soprattutto in termini di archiviazione, integrazione, elaborazione e cloud computing. Proprio quest’ultimo è un problema, ma anche la soluzione per fare a meno di di essere sommersi da dati provenienti dallo spazio ed essere costretti a fare selezioni alla cieca.
“È urgente e fondamentale sviluppare sistemi di computing on board, capaci di raccogliere dati e prendere decisioni: è l’unico modo per non gettare informazioni preziose e riuscire a trasmetterle a terra” spiega Kirk Hovell, co-ideatore e direttore tecnico di Obruta, per poi elencare con tre dita della mano, le sfide che ci aspettano tutti: sicurezza, scalabilità e larghezza di banda per la trasmissione dati. “Dovremo imparare a processare dati in real time direttamente là, conquistando un alto livello di autonomia – aggiunge – lo stesso che ci deve permettere uno download in streaming continuo verso la Terra, puntando sull’ai e su una connessione affidabile”. Se ci riusciamo nello Spazio, poi farlo anche nel manufacturing sarà quasi banale.
Ogni aspra sfida vinta nell’universo, addolcirà quelle terrene, e ciò vale anche per la robotica. A raccontare ciò che ci attende da questo punto di vista è Shreya Santra, docente del dipartimento di Ingegneria Aerospaziale dell’Università Tohoku. Nei suoi sogni e nelle sue slide ci sono robot modulari autonomi per la navigazione, l’evitamento degli ostacoli e la manipolazione degli oggetti, sia per applicazioni di guida che di costruzione lunare/marziana. “Sono sistemi studiati per diventare assistenti dell’uomo, devono imparare a identificare autonomamente le risorse e capire in real time come muoversi in ambiente mai visti prima” racconta. Tutti obiettivi ambiziosi, ma che, se raggiunti, ci regaleranno più efficienza, sicurezza e velocità, nonché anche un’apprezzabile riduzione dei costi. A una condizione: “dovranno essere robot adeguatamente studiati per fare tutto ciò che serve, momento per momento”. L’unico modo per rispettarla, secondo Santra, è realizzarli “human centered”
Gestione della responsabilità
Affianco a lei, Nguyen Golda annuisce, pensando a quanto sia importante che rispettino le esigenze umane anche i modelli AI di cui si occupa lei. Come dottoranda dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (Mit), cerca di usarli per aumentare la resilienza psicologica umana nello Spazio, perché possano poi farlo anche in ambienti terrestri estremi, isolati o pericolosi.