Quando non riesce a far gol, anche se la sua squadra vince 8-0, lascia il campo con il viso trasfigurato dall’angoscia, un misto di sofferenza e ossessione interiore. Incontentabile, inconcepibile, arrivando da uno che da anni non fa altro che macinare record. Cristiano Ronaldo ha segnato 773 gol in carriera, ha raggiunto e superato anche coloro che sembravano insuperabili quasi per diritto divino fino a che la Fifa ha deciso di imporre la sua legge. Generazioni di bambini hanno venerato i 1283 gol sbandierati da Pelé, poi un giorno si sono svegliati adulti ed hanno scoperto che O Rei ne ha segnati ‘solo’ 767 perché i cervelloni del calcio mondiale dicono che sono validi solo quelli segnati nella gare ufficiali con Santos, Cosmos e Seleçao. E allora il gol numero 1000 del 1969, celebrato in Brasile più dello sbarco sulla luna? Non conta, lo dice la Fifa. Cristiano Ronaldo lo ha ripreso e superato, come ha salutato di recente anche Romario.
Bican, l’uomo che viene da un’altra epoca
Ma quella ossessione ad ogni non gol ha un volto e un nome: Josef Bican. E’ un uomo che viene da un’altra epoca, unico possessore di una pergamena che Ronaldo considera alla stregua del Sacro Graal: sopra c’è scritto in 4 lingue ‘Il miglior goleador del secolo’. Ronaldo la vuole, cambiando quel secolo in ‘tutti i tempi’. E per averla deve confrontarsi contro una leggenda misteriosa. Del portoghese si sa tutto, o comunque tutto quello che lui vuol far sapere con le affollatissime vetrine social. Alimentazione, svaghi, stato degli addominali ecc. Di Bican poco. Bisogna aggrapparsi a qualche rara immagine d’epoca, a ritagli di giornale, a racconti, alla fantasia. Non è sicuro neanche il numero di gol. Ne ha segnati 805 per la Fifa (che poi, ci ripetiamo, è quella che conta), 821 per lo Slavia Praga, club ceco dove è oggetto di culto.
L’avventura parte da Vienna
Bican però inizia la sua avventura da austriaco, nel 1913, a Vienna. Non male per uno destinato a fare il calciatore, perché se l’Austria adesso è una nazionale di tradizione ma di livello così così, quando Bican si forma calcisticamente è per tutti il Wunderteam, la squadra delle meraviglie. Il ct si chiama Hugo Meisl, ed all’epoca è considerato insieme a Vittorio Pozzo un grande innovatore a livello tattico, teorico di un calcio veloce e palla a terra. Bican nel Wunderteam ci arriva dopo essere stato ingaggiato dal Rapid: è proprio la squadra contro la quale il padre, giocatore dell’Hertha Vienna, si è procurato un gravissimo danno ai reni in uno scontro di gioco che gli costa la vita. Il giovane Josef ci mette poco a far parlare di sé. Presto di crea un dualismo con la stella del calcio austriaco, quel Matthias Sindelar (che gioca nell’Austria Vienna) spietato sotto porta quanto esile e leggiadro nei movimenti, tanto da guadagnarsi il soprannome di cartavelina. Insieme partecipano ai Mondiali del 1934: Bican segna ai supplementari la rete decisiva agli ottavi contro la Francia, gioca anche nei quarti con l’Ungheria e nella semifinale contro l’Italia. Vincono gli azzurri con una rete di prepotenza di Guaita, che non si cura troppo -spalleggiato da Meazza – dell’integrità del portiere austriaco Platzer pur di buttarla dentro. Fino a quel mondiale Bican vive sui racconti (è velocissimo, ha fatto gare dei 100 in meno di 11”) e sulle foto: in una di queste stacca di testa alla Ronaldo, dà il senso della sospesione per aria.
Poi diventa cecoslovacco
Poi arriva anche qualche filmato, dal quale si evince la voracità da gol, quel buttarsi su ogni palla che gironzola vicino alla porta avversaria come se fosse l’ultima della propria vita. Esponente del calcio danubiano, un paio di esempi della sua tecnica sono reperibili in rete. Un gol segnato con la nazionale della Cecoslovacchia alla Jugoslavia nel maggio del 1947, un morbido pallonetto dal limite dell’area. Un altro su un lancio che gli arriva dalla retrovie: lui si coordina e segna al volo. Cecoslovacchia, perché Bican parte austriaco ma finisce cecoslovacco, tributo alla nazione di cui è originaria la madre e che avuto modo di frequentare fin dall’infanzia andando a passare lunghi periodi con i nonni. Ed ecco che, oltre ad un certo fascino e divismo (le nozze con la bella Jarmila non sfuggono ai cinegiornali dell’epoca), emergono altre similitudini tra Bican e Ronaldo. Se CR7 cambiato parecchie squadre, Bican addirittura cambia oltre ai club anche parecchie nazionali.
Inseguito dalla storia
Lo fa sulle spinte umorali (quando dal Rapid va all’Admira Vienna, vincendo anche qui due campionati), ma anche su quelle sociali. Bican infatti cerca di sfuggire alla storia, ma viene sempre inseguito e raggiunto. I totalitarismi non gli piacciono: alla base della scelta di andare allo Slavia Praga c’è probabilmente il sentore che di lì a poco l’Austria verrà assorbita dalla Germania nazista. Quando il 3 aprile del 1938 viene giocata la gara dell’unificazione tra i tedeschi e l’Austria, in cui il Wunderteam, con Mathias Sindelar e Karl Sesta inscena un folgorante passo d’addio dominando la partita e sfidando i gerarchi in tribuna, Bican è già cecoslovacco, anche se non gioca i mondiali in Francia per un problema burocratico.
Ma la storia non gli dà tregua. La Germania invade anche la Cecoslovacchia: lui dice no alla maglia tedesca e finisce per giocare due partite con il Protettorato di Boemia e Moravia, diventando l’unico giocatore a segnare con tre nazionali diverse. In una di queste due fa tripletta proprio alla Germania: finisce 4-4 e tra i tedeschi (già allenati da quel Sepp Herberger che poi guiderà 15 anni dopo la Mannschaft al titolo mondiale nella finale nella famosa finale di Berna contro l’Ungheria di Puskas) replica con la stessa moneta Franz Binder, suo vecchio compagno nel Rapid che invece dopo l’Anschluss ha cambiato casacca.
Grazie a Ronaldo tutti tornano a parlare di lui
La storia non lo molla neanche dopo. All’allergia per il nazismo si aggiunge anche quella per il comunismo. Non viene in Italia -sembra piacesse alla Juventus- perché pensa che l’Unione Sovietica possa estendere la sua influenza anche in un paese occidentale. Quell’influenza che invece arriva puntuale in Cecoslovacchia: lui segna una valanga di gol (in 3 occasioni ne fa addirittura 7 in una sola partita). Continua a fare le fortune dello Slavia, ma è troppo star per i vertici del partito: una volta viene persino portato in trionfo ad una parata del 1° maggio. Per lui, che gioca e segna fino a 42 anni e comunque resta nel mondo del calcio come allenatore, c’è un posto da autista, un futuro di oblio e una vita modesta, nella quale sostituisce l’ebrezza del campo di calcio con la tranquillità della pesca. Il sipario, nel 2001, a 88 anni. La sua figura viene riscoperta dopo la rivoluzione di velluto del 1989 e poi rimandata più o meno nel dimenticatoio. Ora che Ronaldo lo ha messo nel mirino si riparla di lui. “Se avevo cinque occasioni facevo cinque gol, se ne avevo sette ne segnavo sette”, ebbe a dichiarare in una intervista all’Uefa. Forse Ronaldo non è poi così diverso…