La sconfitta di Casellati lascia tradecessito anche Salvini. Dovrebbe andare a ripetizione di tattica dall’altro Matteo che anche con soli 40 elettori è un funambolo
E anche questa passerà alla storia. Non come i 101 di Prodi (le tragedie politiche a sinistra sono sempre più spettacolari), ma quasi.
Eppure lo sapevano tutti.
Alle 11:33 del mattino arriva il whatsapp di Matteo Renzi: «Oggi gli faccio il cucchiaio».
Alla stessa ora i centristi scommettono su una Casellati sotto i 400 voti.
Poco più di un’ora prima la presidente del Senato ha autorizzato la nascita (molto controversa) del nuovo gruppo al Senato di Lannutti, Costituzione Ambiente e Lavoro. Da quell’area erano arrivati il giorno prima 56 voti per Di Matteo, stavolta sono solo 38: i restanti 18, grati, potrebbero essere andati a lei.
Ma evidentemente non sono bastati a pareggiare l’emorragia nel centrodestra, dove i franchi tiratori sono stati ben più dei 60 calcolati
. Indifferenti al sistema escogitato per «segnare» le schede, hanno disperso voti verso Berlusconi, Tajani, le «bianche» e soprattutto verso Mattarella, ben 46.
Sommati a quelli dati da Cinquestelle e Pd al presidente uscente il giorno prima, 166, proiettano un suo bis già oltre quota 200, un modo ulteriore di mettere pressione su Salvini per fargli accettare un accordo.
Ci si chiede perché la Casellati si sia prestata a questo vero e proprio sacrificio umano, ma in realtà è stata proprio lei a volerlo. Furiosa con chi le consigliava prudenza, intestardita nell’asse con Salvini. Fino a un esito che un padre nobile del centrodestra non esita a definire «grottesco».
Ma non è certo la prima presidente del Senato che cede al fascino discreto del Quirinale anche a costo di una brutta figura. Ci provò Cesare Merzagora, candidato ufficiale della Dc nel 1955, spazzato via nel voto dal gioco delle correnti che gli preferì Gronchi. E successe ad Amintore Fanfani nel 1971, che proprio al quinto scrutinio toccò un tetto simile, fermandosi a 385 voti prima di farsi da parte.
Ma se la Casellati è abbattuta, Salvini è tradecessito, un pugile di nuovo sconfitto sul ring della tattica parlamentare come nell’estate del Papeete.
Avrebbe potuto intestarsi fin dall’inizio uno dei soli due candidati possibili. Ha preferito fare a pugni col muro. Senza Berlusconi («Il Cavaliere non ha la forza ora per riprendere in mano il gioco», dice un suo vecchio amico) è finito nell’angolo.
Dovrebbe andare a ripetizione di tattica dall’altro Matteo. Che dopo avergli fatto il cucchiaio, ora gli tende la mano.
Se riesce a condurlo fino a Casini, Renzi alzerà la seconda Champions di seguito, e questa volta con 40 elettori contro i 400 di sette anni fa. Scudetti non ne vincerà più, ma quando parte in dribbling è sempre un funambolo.
Se invece si andrà su Draghi, allora Enrico Letta e Di Maio avranno rinverdito il mito antico del Temporeggiatore, colui che si difende solo finché gli avversari non si eliminano da soli.
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28 gennaio 2022 (modifica il 28 gennaio 2022 | 20:21)
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Antonio Polito , 2022-01-28 17:56:35
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