Stephen Green dell’Imperial pensa che Ive e Newson abbiano sviluppato all’interno di LoveFrom una cultura che promuove libertà e metodi tipici dei laboratori di esame e delle istituzioni. Secondo Green, questo approccio potrebbe essere decisivo per lo sviluppo di hardware di intelligenza artificiale responsabile.
Al New York Times Ive ha dichiarato di aver assunto circa 10 persone per la nuova azienda di hardware AI, e da una esame su LinkedIn emergono altri nomi potenziali che stanno lavorando per LoveFrom: Chris Wilson, ex responsabile del design dell’interfaccia fruitore di Apple, già coinvolto nel carattere tipografico dello studio; CC Wan Si Wan, un veterano di Apple con oltre 15 anni di esperienza come designer e progettista di interfacce umane; Kevin Will Chen, responsabile del design dell’Apple Watch per nove anni; gli ex designer di interfacce e industriali di Apple Biotz Natera Olalde, Jon Gomez e Joe Luxton e l’ex designer dell’interfaccia fruitore di Nest Mike Matas (per non parlare dei collaboratori che sono stati assunti nei reparti di operazioni, sviluppo dei talenti, produzione e comunicazione).
L’impressione quindi è che LoveFrom abbia talenti al livello di quelli Apple, che i soldi non siano un problema (il piano è quello di raccogliere un miliardo di dollari in finanziamenti entro la fine di quest’anno) e che, con Sam Altman, anche le ambizioni dello studio possano rivaleggiare con quelle di Cupertino.
“L’intelligenza artificiale può essere un catalizzatore – afferma Anjan Katta di Daylight –; la si inserisce su un computer moderno, e oggi è diventata dieci volte più coinvolgente, sovrastimolante e zombificante“.
“Tuttavia, se realizzassimo computer fondamentalmente nuovi, interamente ripensati e realmente allineati con le nostre intenzioni e poi riempiti di AI, potremmo riscattare il ruolo dell’informatica come amplificatore della nostra umanità, anziché un fattore degradante“.
I dipendenti Apple non perdono mai l’occasione di raccontare una bella storia. E quella che Jony Ive e LoveFrom stanno cercando di raccontare è una storia di cura, di artigianato e di gestione. È anche una ribellione chic alla normatività dei giganti tecnologici. Sono le qualità richieste per essere pagati circa 200 milioni di dollari all’anno.
Ma sono anche tutti principi che potrebbero rivelarsi molto utili per guidare e plasmare alcune delle attività di OpenAI nei prossimi anni. Questo sempre se l’approccio move fast and break things (“muoversi velocemente e rompere le cose“) possa combinarsi con la serietà e la meticolosità.
Questo articolo è comparso originariamente su Wired US
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di Sophie Charara www.wired.it 2024-10-17 04:20:00 ,