I lavoratori hanno incrociato le braccia in tre grandi stabilimenti. Uno per ciascun colosso dell’auto; General Motors, Ford e Stellantis. E’ cominciato così lo sciopero, scattato alla mezzanotte di ieri ora degli Stati Uniti (anzi alle 11 e 59 minuti) davanti al mancato accordo sul rinnovo del contratto. Solo all’apparenza con una piccola mossa, limitata appunto a tre impianti del Midwest industriale: in realtà è un’azione senza precedenti, la prima volta in quasi novant’anni di storia del sindacato americano del settore che scatta un’agitazione contemporaneamente contro tutte e tre le grandi case di Detroit. Con effetti che si faranno fin da subito sentire ben oltre il tris di fabbriche fermate: paralisi a catena sono nelle carte per la forte interdipendenza oggi di componenti e tecnologie tra diversi centri produttivi. E ben presto è in programma una escalation: la United Auto Workers ha fatto sapere di prevedere un ampliamento delle agitazioni per massimizzare man mano la pressione sulla aziende in assenza di compromessi considerati accettabili, su richieste che lei stessa definisce ambiziose e che vanno da aumenti di paga del 40% in quattro anni a migliori benefit e riduzioni della settimana lavorativa.
Una nuova strategia sindacale
“Utilizziamo una nuova strategia – ha dichiarato il leader della Uaw Shawn Fain, eletto lo scorso marzo con un’agenda combattiva -. Chiediamo ad alcune sezioni sindacali selezionate di entrare in sciopero”. I tre stabilimenti afflitti, oltretutto, dovrebbero bloccare alcuni dei modelli più redditizi, a cominciare da Suv, delle aziende. Per Gm si tratta di una fabbrica a Wentzville in Missouri, che con 3.600 lavoratori sforna il Gmc Canyon e il Colorado. Nel caso di Stellantis nel mirino è finito il complesso di Toledo in Ohio dove 5.600 dipendenti nascono la Jeep Gladiator e Wrangler. Per Ford l’agitazione è iniziata a Wayne in Michigan, cuore della produzione dei pickup Bronco e Ranger, con fermate in specifico della linea di assemblaggio e di verniciatura che coinvolgono 3.300 operai. In tutto il sindacato rappresenta 145.000 dipendenti delle tre case.
Biden chiama le parti al negoziato
La posta in gioco è alta anche secondo gli analisti. Dieci giorni di stop potrebbero costare all’economia 5,6 miliardi di dollari nel cuore industriale del Paese e non solo, con effetti a cascata sui fornitori come i consumatori a causa di nuove impennate nei prezzi delle vetture. I rischi sono tali che il Presidente Joe Biden, in affanno nei sondaggi per le incertezze economiche e l’inflazione, ha fatto sapere di aver parlato con i leader del sindacato e dell’industria. La Casa Bianca ha indicato che il Presidente non ha premuto sulle parti ma le ha incoraggiate a proseguire comunque le trattative fino a trovare un’intesa giusta.
Profonde differenze
La distanza tra sindacato e vertici auto è rimasta tuttavia finora profonda nonostante alcuni progressi. Il sindacato chiede aumenti quadriennali di fino al 40% in quattro anni, affermando che questi sono gli aumenti medi ricevuto del Ceo delle imprese nel quadriennio scorso. Al momento le ultime offerte aziendali, delle ore precedenti l’agitazione, sono di circa la metà: Ford e Gm il 20% e Stellantis il 17,5 %. I punti più scottanti sono tuttavia stati altri, richieste che coinvolgono l’organizzazione del lavoro, la struttura dei contratti e i benefit: la union vuole anzitutto l’eliminazione di due livelli contrattuali nati all’indomani della crisi del 2007, spartiacque di forti concessioni sindacali. Gli ormai tanti assunti da allora hanno compensi di partenza molto più bassi e un percorso verso le retribuzioni massime, 32,32 dollari l’ora, di otto anni. Le imprese hanno offerto ad oggi di accorciare il cammino verso la top pay a circa quattro anni.
Il nodo dei benefit
Ancora: la Uaw vuole il ritorno di tradizionali piani previdenziali aziendali, con pensioni fisse, per i dipendenti post-2007. E una significativa formula di indicizzazione del salario all’inflazione oggi sospesa per tutti. Tra le domande c’è inoltre una settimana lavorativa di 32 ore, più periodi pagati per assenze familiari, miglioramenti sanitari, aumenti del profit-sharing, fine del ricorso al lavoro temporaneo e non garantito, medesima copertura contrattuale per impianti in joint venture di veicoli elettrici. Fain ha giudicato le proposte delle case su numerosi di questi fronti quasi sempre del tutto inadeguate.