Se ci passate la provocazione, i giocatori di Serie A si sono presi il turno di riposo che un calendario inutilmente assillante aveva loro negato. Quattordici gol non costituiscono soltanto il record negativo stagionale, ma una sorta di sciopero bianco: la giornata meno prolifica era stata fin qui la quinta (19), ma il dato medio di 24,83 gol a weekend ci dice che stavolta si è andati a velocità quasi dimezzata. Il che, fuori dalla provocazione, segnala una grande stanchezza generale. Sarebbe stato saggio assecondarla con una settimana di riposo vero, anche perché lo spettacolo è stato sinceramente povero ovunque. La premessa serve a spiegare l’epidemia del “corto muso” (cinque 1-0, più due 0-0), tra i quali il più significativo è ovviamente quello della Juve, visto che vale il riavvicinamento all’Inter. Il pareggio di Inzaghi a Genova è venuto due settimane dopo l’analogo risultato colto a Marassi da Allegri, il che ribadisce la singolare marcia parallela delle due pretendenti allo scudetto: i due punti di differenza risalgono a Bergamo, dove l’Inter ha vinto e la Juve soltanto pareggiato, il segno delle altre gare è ovunque identico.
La Juve e il Sacro Graal del gol di vantaggio
La Roma si è opposta ai bianconeri con più convinzione rispetto ad altre trasferte, sfiorando la sorpresa iniziale (palo di Cristante), tenendo palla in attesa della giocata di Dybala (mirabile un esterno sinistro appena fuori) e salvandosi con un paio di brillanti letture difensive (N’Dicka super). Ma se non le fai gol per primo, la Juve non ti lascia chance: delle 15 volte in cui è andata avanti, ha pareggiato due gare soltanto (Inter e Genoa). Il modo che ha di raccogliersi davanti a Szczesny è insieme ferreo ed elastico, come provano le improvvise fiammate di pressing alto ordinate da Allegri. Il Sacro Graal è sempre il gol di vantaggio sul quale costruire la situazione tattica prediletta: ieri ci ha pensato Rabiot, innescato da una sponda di Vlahovic, e il centravanti serbo è stato nuovamente convincente. Ma dalla furia agonistica di Gatti alla qualità cristallina di Yildiz, cominciano a essere molti gli aspetti della Juve a fare la differenza.
La crisi del Napoli
La lotta per lo scudetto si svolge ormai su un pianeta lontano. Il resto non è semplice da interpretare, perché se le stranezze sono sempre successe — segno di maturità è capire di non poterle spiegare tutte — quest’anno si sta esagerando. L’unica squadra capace di battere sia l’Inter che la Juve — il Sassuolo — senza quei sei punti sarebbe largamente ultimo in classifica. Il Napoli campione conta 19 punti in meno rispetto a un anno fa, sepolto da una serie di errori gestionali dei quali De Laurentiis si è assunto la responsabilità come se potesse essere diversamente. La rivelazione più accattivante della stagione, il Bologna, ha perso per la terza volta, 3-0 in casa dell’Udinese, alla seconda vittoria del campionato (e non è stato un match, ma un’esecuzione). Il pregiato quarto posto è così passato alla Fiorentina — eccellenti i suoi numeri nel 2023 — che nei momenti chiave è ormai solita aggrapparsi ai difensori riciclati in attacco. La Lazio è ripartita dopo aver messo a posto la difesa, ed è successo quando i titolari si sono fatti male lasciando spazio non ad alternative, ma a riserve conclamate. Il Torino mantiene il posto nel lato sinistro della classifica pur avendo il penultimo attacco della Serie A.
Le oscillazioni di Leao
L’insieme di queste stranezze, sommato ovviamente a una serie di risultati più prevedibili, sta creando una mischia molto affollata in zona Champions (e altri posti europei). Il Milan continua a galleggiarci un po’ sopra grazie alla capacità, ormai sperimentata, di non fallire le gare che segnano un confine. Fino all’anno scorso erano porte che si aprivano — e sono venuti uno scudetto e una semifinale di Champions — quest’anno si limitano a non chiudersi, in attesa di tempi migliori (guarigioni, acquisti, Europa League). Inutile sottolineare quanto conti Bennacer, anche perché la Coppa d’Africa se lo porterà via. Più produttivo segnalare che Leao non riesce a fermare le oscillazioni tra lo status di problema e quello di soluzione: attacca come se portasse sulle spalle uno zaino di pietre, e questo è innaturale per un talento leggero e (altre volte) imprendibile come il portoghese. Però vanno anche menzionati un paio di recuperi difensivi provvidenziali, lui che di coprire non ne vuol sapere. È un bel messaggio: Leao non sta bene, ma non per questo si disinteressa della squadra.