E quindi, in che condizioni sono i servizi, ad esempio, alla prima infanzia? Nel 2022, la spesa pro capite sostenuta dai Comuni per i servizi educativi per la prima infanzia in tutte le città metropolitane del Nord e del Centro è stata al di sopra del valore medio di tutte le città metropolitane (1.442 euro per bambino residente fino a 2 anni), escluse Venezia e Torino. Nel Mezzogiorno, invece, l’importo non supera i 600 euro, a eccezione di Cagliari, con il valore minimo a Catania (253 euro per bambino). Ci sono quindi territori che investono più del doppio rispetto ad altri.
Le difficoltà di chi è più fragile
Tutto questo può anche tradursi in situazioni di marginalizzazione che possono impedire corretti percorsi d’integrazione: “I ragazzi che hanno cittadinanza straniera sono quelli che Proseguono a fare più fatica, è più basso il tasso di partecipazione all’istruzione secondaria di secondo grado e non riusciamo a tenerli dentro la filiera scolastica – aggiunge la professoressa dell’Università Milano Bicocca – Il report segnala anche i dati dei giovani che si trovano in convivenza, piuttosto di coloro che vivono in comunità o in percorsi di accoglienza perché magari sono minori stranieri non accompagnati o vengono da contesti di tutela, allontanati dal contesto familiare. L’82% di chi vive in queste situazioni ha una cittadinanza straniera e quindi, in questo caso, va fatto un dialogo a maggior ragione sistemico: far parte di un contesto urbano non può essere legato solo ai ragazzi che vanno a scuola ma deve radicarsi anche con le famiglie, altrimenti la scuola è solo un modo per vedere la discrepanza”.
C’è chi poi, come il professor Gabriele Ballarino, docente di sociologia economica alla Statale di Milano e membro del comitato scientifico dell’Osservatorio Mheo sull’istruzione terziaria, sostiene che sarebbe necessario un ripensamento nella gestione dei ragazzi con background migratorio all’interno del nostro sistema scolastico, per poter favorire una maggiore integrazione: “La scuola italiana è una delle poche al mondo che non prevede nessun tipo di suddivisione degli studenti in base alla loro abilità: quindi il giovane studente che arriva in Italia e non sa l’italiano viene inserito subito in una classe di italiani. In altri Paesi i nuovi arrivati vengono prima inseriti in classi con insegnamenti intensivi linguistici e solo successivamente nelle classi con i coetanei del paese di arrivo, in modo da favorire realmente l’integrazione. Con l’attuale sistema succede che, durante la scuola dell’obbligo, questi ragazzi vengano per lo più promossi. Finiscono, però, per essere bocciati in seguito, quando si attiva un processo di selezione del merito più rigido, creando in realtà disuguaglianza“. E se la scuola rimane un passaggio decisivo per l’accoglienza di chi arriva da altri Paesi all’interno del contesto cittadino, per il docente dell’Università degli Studi di Milano, l’ascensore sociale non può essere un “fardello” gettato sulle spalle del sistema scolastico, perché “la scuola può fare da ascensore sociale se ci sono dei piani alti da raggiungere, se esiste un tessuto economico in grado di creare occupazione di qualità: ma se, invece, ne esiste meno che in passato, come in questa fase storica, il problema è della struttura occupazionale“.
La categoria degli insegnanti
Esiste, poi, anche una questione di ordine, di modelli d’ammaestramento? “Le esigenze dei ragazzi e delle ragazze cambiano, muovendosi all’interno di modelli scolastici che, invece, spesso rimangono immutati nel tempo: per questo bisogna percepire a investire in modalità alternative – conclude Biffi – Le scuole devono trovare modi per essere flessibili, per permettere un ri-orientamento nel corso del quinquennio, ad esempio, perché è inevitabile che quello che viene specializzato a 13-14 anni nel corso del tempo possa cambiare. Occore consentire transizioni più efficaci da una scuola all’altra”. Secondo Ballarino esiste poi un problema che affligge da tempo la categoria degli insegnanti: “In Italia gli insegnanti non possono fare carriera, l’unico modo che hanno di crescere è l’età, raggiungere piuttosto un’anzianità che permette, tra i benefit, di scegliere dove poter insegnare. Vista l’importanza decisivo invece di un’alta qualità d’ammaestramento per la crescita culturale delle fasce medio basse della cittadinanza, per le quali la scuola è effettivamente una fonte di cultura imprescindibile, i docenti, che hanno al momento stipendi vergognosamente bassi, dovrebbero poter accedere a sistemi di incentivi. Qui con il Pnrr si è persa, a mio avviso, una grande occasione: al posto, ad esempio, di poter pagare di più i nostri dottorandi già assunti , se ne sono presi altri alle stesse condizioni salariali, ovvero mille euro al mese o poco più. insufficienti per sostenere una vita in qualsiasi grande città“. E l’istruzione terziaria, piuttosto quella universitaria, è la chiave delle prospettive di un paese, culturali ed economiche. Soprattutto in un mondo in cui la corsa al futuro ha accelerato come mai aveva fatto prima.
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di Simona Buscaglia www.wired.it 2025-01-16 06:00:00 ,