politeia
Mezzogiorno, 2 ottobre 2022 – 08:31
Ma non vincerebbe mai. I congressi del Pd sono sotto lo stretto controllo delle correnti, e dubito che da Roma darebbero il via libera a un «cavallo matto» come il nostro governatore
di Antonio Polito
A questo punto, perché no? La candidatura di Vincenzo De Luca alla segreteria del Pd avrebbe almeno il merito di rendere più animata e perfino divertente la battaglia congressuale: del nostro governatore tutto si può dire, tranne che non sia spumeggiante in quanto a retorica e verve polemica. Magari non se ne farà niente; magari è solo il suo solito modo per mettersi in mezzo e ricordare a tutti che dispone di un considerevole pacchetto di voti congressuali. Più una minaccia che una promessa, insomma. Ma, d’altra parte, si stanno candidando tutti; ed è un eufemismo dire che non tutti sembrano personaggi di spessore tale da poter far meglio del segretario uscente. Quasi tutti vengono però dal governo locale, Regioni e Comuni amministrati dal Pd: da Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna a Elly Schlein, sua vice; da Giorgio Gori sindaco di Bergamo a Dario Nardella di Firenze e a Matteo Ricci di Pesaro. La carica dei «cacicchi» avrebbe detto D’Alema, che così bollava con il suo abituale disprezzo i «provinciali», quelli che venivano dalle periferie dell’impero. Ma allora, cacicco per cacicco, che gli manca a De Luca?
Ci sono però due ragioni più politiche che potrebbero giustificare una candidatura così originale. La prima sta nel fatto che, pur essendo senza dubbio un uomo aduso alla demagogia, De Luca non è un populista. Non almeno nel senso corrente che oggi diamo a questo termine. È estremamente attento al consenso popolare, sì, e non disdegna di usare la spesa pubblica per incrementarlo. Ma in una maniera più classica e all’antica, più in linea con la tradizione della sinistra e del Pci, che intendeva redistribuire la ricchezza trasformando in servizi le entrate fiscali. E anche memore della lezione dello Stato assistenziale alla democristiana, capace di garantire dopo la guerra per decenni la coesione sociale nel Mezzogiorno, con le risorse dello Stato e l’occupazione nel settore pubblico. L’idea di De Luca di provvedere a un massiccio piano di assunzioni a tempo indeterminato, che aveva convinto in campagna elettorale anche Letta ed era diventata la proposta-principe del Pd al Sud, va esattamente in questo senso.
Non a caso il governatore della Campania è stato ed è uno dei più fieri avversari del reddito di cittadinanza. Non da posizioni «nordiste», o «di destra», del tipo «i meridionali non hanno voglia di lavorare». Ma anzi proprio perché considera quella misura assistenziale come alternativa e ostacolo al lavoro, come uno spreco di risorse che potrebbero essere usate per dare occupazione: nel suo colorito linguaggio «una truffa, una porcheria di clientela politica, per parassiti e figlia di buona donna e con la manovalanza della camorra».
La seconda ragione per cui una candidatura De Luca darebbe almeno un po’ di sostanza alla corsa congressuale del Pd sta nel fatto che il nostro sarebbe forse l’unico, o comunque tra i pochi, a non aver già venduto l’anima a Conte. Sia i potenti che agiscono nell’ombra, che non scenderanno in campo ma alla fine decideranno, e cioè i Franceschini, gli Orlando, i Zingaretti, i Bettini, e pure i Bersani e i D’Alema, sia anche la gran parte dei potenziali candidati alla carica, sono già pronti a riconoscere de facto a Conte la guida dell’opposizione nel prossimo Parlamento. Un po’ è la sindrome di Stoccolma che da tempo affligge quel partito; un po’ è l’idea che Conte sia stato più di sinistra di loro in fatto di spesa pubblica, perché ancora misurano la giustizia sociale in percentuali di deficit. De Luca questo non lo farebbe: non si accoderebbe ai Cinquestelle, e anzi si metterebbe in competizione con loro per il consenso della parte più disagiata del Paese e del Mezzogiorno in particolare.
Naturalmente, anche se si candidasse, De Luca non vincerebbe mai. I congressi del Pd sono sotto lo stretto controllo delle correnti, e dubito che da Roma darebbero il via libera a un «cavallo matto» come il nostro governatore. Ma abbiamo indicato due buoni motivi per augurarsi che questa di De Luca non sia la solita boutade, che alla fine non si accontenti come sempre di manovrare il congresso dietro le quinte appoggiando colui o colei che sembrerà il vincitore designato; ma che invece decida finalmente di fare una battaglia politica in prima persona e a viso aperto. Ne guadagnerebbe la chiarezza del confronto. Senza contare che De Luca sarebbe l’unico candidato del Sud alla segreteria del Pd, in un mazzo di nomi che finora – chissà perché – è tutto emiliano-romagnolo o quasi (Bonaccini, Schlein, De Micheli, Ricci…).
2 ottobre 2022 | 08:31
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