Un duro colpo all’immagine internazionale della Brexit è arrivato lunedì 15 maggio, quando Nigel Farage, uno dei protagonisti della campagna per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, l’ha definita failure, un “fallimento”. Arrivando, persino, a giudicare i conservatori e i politici britannici “quasi inutili” come quelli di Bruxelles.
“Abbiamo gestito male l’uscita in ogni aspetto”, ha detto Farage, commentando alcuni dati molto negativi riguardo all’economia britannica. Secondo le previsioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ose) nei prossimi due anni la crescita del pil del Regno Unito sarà la seconda peggiore fra le maggiori economie mondiali dopo quella della Russia, e dietro quella dell’Eurozona.
Tutto sbagliato, ma non tutto da rifare. La scelta di uscire dall’Ue, per Farage, già leader dell’United Kingdom Independence Party, resta quella giusta. Ma lui ritiene che il fronte del Leave non sia riuscito “a realizzarla come avremmo dovuto” e che “non abbiamo avuto i benefici economici che avremmo potuto avere. “Adesso abbiamo di nuovo il controllo, ma stiamo imponendo alla nostra economia ancora più regole di quando eravamo in Europa”, spiega. La Brexit come qualcosa di incompiuto, di irrealizzato, piuttosto che come un esperimento già bello che concluso.
Farage – che non ha più ruoli politici ufficiali da due anni, ma è presidente onorario del partito Reform UK, erede di quel Brexit Party che raggiunse oltre il 30 % alle elezioni europee del 2019 e conduce una trasmissione sul canale nazionalista GB News – non ha mai rinnegato il risultato del referendum, ma ha ammesso che finora la Gran Bretagna non ha ottenuto i vantaggi sperati di una sovranità piena, assoluta, quella che il suo elettorato, nazionalista e populista, cercava: meno immigrazione, innanzitutto, ma anche meno vincoli burocratici al mondo delle imprese.
È prevedibile che Farage stia cercando di intercettare un pubblico di sovranisti non rappresentati e farsene portavoce, in uno scenario dove i Tory guidati dal premier milionario Rishi Sunak arrancano di almeno 10-15 punti nei sondaggi dietro il Labour dell’insipido Keir Starmer (il quale ha promesso di “far funzionare la Brexit” senza avventurarsi in ripensamenti, ma vatti a fidare). Ma nell’uscita di Farage c’è dell’altro, che a che fare con le turbolenze identitarie della destra britannica, che non hanno eguali nella sua storia.
La guerra civile nei Tory
Alla base dell’irrequietezza c’è l’incapacità, da parte dei conservatori – cinque governi negli ultimi sei anni – di realizzare ciò che gli elettori del Leave ritengono sia stato loro promesso. A questo si sono aggiunte una pandemia e la guerra in Ucraina, ma la crisi ha le sue origini più addietro, con il prolungato periodo di austerità e riduzione della spesa nel settore pubblico dopo la crisi finanziaria del 2008. Il Partito conservatore è diventato indelebilmente associato al declino della Gran Bretagna, all’idea che nulla funzioni.
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di Paolo Mossetti www.wired.it 2023-05-18 14:43:39 ,