Il nuovo film di Paolo Virzì è una commedia di fantascienza, perché con umorismo mette in scena una situazione distopica (ma nemmeno troppo): la siccità a Roma.
A Roma non piove da tre anni, il Tevere non c’è più, l’acqua è razionata, fa caldissimo e ciò permette la diffusione di una malattia sconosciuta.
Questo è lo scenario su cui il regista intesse un film corale, selezionando con cura gli attori che sono tutti validissimi.
Le storie narrate sono diverse ma visceralmente sono legate le une alle altre, gli intrecci sentimentali si scoprono solo sul finale.
Parlare di siccità in un momento come quello che stiamo che stiamo vivendo è quanto di più calzante si possa fare nel cinema. La scarsità idrica è un tema caldo che riguarda tutti da vicino e il timore per un futuro arido è enorme.
Il troppo stroppia
Purtroppo però Virzì ha voluto “strafare”, ha inserito numerosi plot e argomenti attuali, rendendo il racconto straripante e inconcludente.
Un guazzabuglio di tematiche non approfondite che riesce a salvarsi solo per le performance brillanti degli interpreti.
Non mancano, infatti, le proteste in piazza, gli ospedali pieni, l’illegalità, il papa, il carcerato che scappa (casualmente), le mascherine, i tradimenti, il disagio adolescenziale, la mitizzazione degli esperti, la questione dell’immigrazione e i social.
Elementi che si fondono insieme anche in modo ben strutturato e coerente, ma che risultano in abbondanza rispetto all’arco temporale della narrazione.
Come le blatte che invadono i pavimenti ripresi nel film, così gli argomenti trattati si
La riflessione sulla scarsità d’acqua è efficace perché mostra le possibili circostanze in cui l’umanità potrebbe ritrovarsi. Le persone sono costrette a non acquistare più di una confezione d’acqua per volta, a non innaffiare le piante di dimora e non possono nemmeno lavare l’auto.
Tutte queste restrizioni sembrano ormai entrate nell’uso comune dei protagonisti che, per la maggior parte, errano più dal punto di vista affettivo-sentimentale che da quello normativo.
Ma vengono rappresentate anche le speculazioni finanziarie, pur in un momento così difficile e buio, perché d’altronde fanno parte della nostra natura.
Umana limitatezza
La scena iniziale ci fa entrare nel vivo della romanità, quella un po’ losca e verace, che vive di clientelismo e piccoli illeciti, e ci ricorda vagamente Favolacce dei fratelli D’Innocenzo.
I personaggi si ritrovano attorno a una tavola ed è proprio in un momento di quotidiana condivisione che si possono cogliere tutti i lati di una persona.
Diciamo che si tratta di un film democratico perché pone l’attenzione su tante sfaccettature umane e su differenti classi sociali. Il bene e il male non sono due entità separate ma sono legati intrinsecamente da un afflato di vita. La linea di demarcazione tra l’uno e l’altro è talmente labile da essere invisibile, tutto dipende dal punto di vista con cui si osserva qualcosa.
L’unico punto a favore di Siccità è il fatto di scommettere sull’imperfezione del genere umano, di mettere in luce la meschinità e di non considerarla una deformità, bensì un valore aggiunto dal quale si può sempre imparare.
Nell’ottica di una collettività eterogenea e complementare bisogna comprendere tutti i singoli, senza tralasciare nessuno: è questa la salvezza.
Soprattutto durante una catastrofe ambientale bisogna sostenersi l’un l’altro, al fine di trovare una redenzione.
Di post-apocalittico c’è poco, c’è molta realtà che non è stata selezionata e per questo rende confusa la visione.
Una Roma illuminata da una luce accecante, polverosa e arsa fa da sfondo a questa catastrofica narrazione, che vede tra i suoi interpretati più versatili e degni di nota: Valerio Mastandrea e Claudia Pandolfi!
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di Veronica Cirigliano
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2022-10-14 13:10:29 ,