Quando nel 2011 il romanzo di Hugh Howey Wool è diventato un successo inarrestabile, l’imprevedibile notorietà dell’opera ha quasi messo in ombra i suoi meriti narrativi. Lo scrittore è diventato un testimonial di Amazon Kindle Direct Publishing e il libro è stato definito “la versione fantascientifica di Cinquanta sfumature di grigio“, un paragone così offensivo da risultare quasi diffamatorio. Il pubblico (che in alcuni casi non si era nemmeno dato la briga di leggere il libro) è rimasto affascinato dal fatto che un outsider del settore letterario avesse raggiunto la vetta della classifica dei bestseller solo grazie al passaparola su internet. Chi non ha letto il romanzo non sa cosa si è perso: Wool è un racconto avvincente ed emozianante. Nel 2012, la 20th Century Fox ha acquistato i diritti dell’opera e del prequel Shift dopo una lotta senza quartiere, con l’idea di farne un adattamento cinematografico diretto da Ridley Scott. I fan hanno aspettato a lungo l’annuncio dell’inizio della produzione, che però non è mai arrivato.
Lunga gestazione
Nell’attesa, il mondo è cambiato. Howey ha pubblicato un terzo romanzo, Dust, e ha battezzato la trilogia “la Saga di Silo“. Game of Thrones – che era alla sua prima stagione quando il libro vide la luce – è diventata un fenomeno culturale. Netflix, che aveva appena pubblicato la sua prima serie originale quando l’autore ha iniziato a pubblicare online i capitoli di Wool, si è trasformata in un gigante dell’intrattenimento. Ogni dirigente televisivo pretendeva la propria punta di diamante, nella forma di una serie monumentale destinata a diventare un cult. Le piattaforme di streaming hanno investito denaro per replicare il successo del Trono di spade, privilegiando sontuose epopee fantascientifiche o fantasy. Tra questi c’era anche Apple, che ha scommesso su serie fantascientifiche come Fondazione e For All Mankind, senza ottenere dal pubblico i riscontri auspicati. L’arrivo di Silo, a distanza di più di dieci anni da quel primo tentativo di adattamento, rischia di fare poco scalpore, l’ennesimo titolo tra tanti aspiranti cult dal sapore distopico. Se avesse debuttato una decina di anni, quando il numero di servizi di streaming si contava sulle dita di una mano, la competizione non sarebbe stata così agguerrita. A questo punto il pubblico sa come muoversi tra i tetri paesaggi post-apocalittici, anzi è anche quasi stufo degli scenari distopici che dominano il piccolo schermo.
Silo può sembrare qualcosa di già visto. I titoli di testa dello show evocano Westworld e la serie in sé è altrettanto cupa nei toni. Come ogni altra show di prestigio, annovera almeno una persona che ha lavorato in Game of Thrones, in questo caso, Iain Glen, ovvero Ser Jorah Mormont. A volte i dialoghi possono risultare un po’ stereotipati (“Devi fidarti di me!”, “La situazione si fa pericolosa”, “Cerca di non farti ammazzare”). La premessa della serie è molto simile allo spinoff televisivo – decisamente inferiore rispetto al film – di Snowpiercer: come la serie Netflix, anche Silo è una detective story ambientata in una società post-apocalittica estremamente classista e confinata in spazi ristretti. Le indagini si svolgono proprio mentre si paventa la possibilità di una ribellione. Ci sono però due differenze sostanziali tra Snowpiercer e Silo. La prima riguarda l’ambientazione: al posto di un treno che circumnaviga una Terra in rovina senza mai fermarsi, Silo si svolge negli spazi angusti di un edificio di 144 piani sepolto sotto una Terra in rovina. La seconda riguarda la qualità: Silo è una serie ottima.
La trama
I primi due episodi introducono gli spettatori nell’universo sotterraneo dello show attraverso gli occhi dello sceriffo Holston Becker (David Oyelowo) e di sua moglie Allison (Rashida Jones). I due vivono felicemente fino a quando ottengono il permesso di avere un figlio. Il chip di controllo delle nascite imposto dal governo ad Allison viene rimosso e i due hanno un anno di tempo per concepire. C’è un senso di urgenza: questa, scopriamo, è la loro terza possibilità di avere un bambino, e probabilmente l’ultima. Man mano che i mesi trascorrono senza una gravidanza, la donna inizia a sospettare che i problemi di fertilità di cui soffre la coppia non siano naturali, ma in qualche modo legati alle macchinazioni dei potenti.
La parabola di Holston e Allison è resa emozionante dalle eccellenti interpretazioni dei rispettivi interpreti – quella di Jones in particolare rappresenta uno dei punti più alti della sua carriera – e al tempo stesso funge da stratagemma per illustrare efficacemente alcuni elementi dell’ambientazione. Apprendiamo che il silo da cui prende il nome la serie funziona come una città autonoma, alimentata da uno strano mosaico di tecnologie del passato; c’è un reparto informatico, radio e computer vetusti, ma non ascensori, carrucole o telefoni. I residenti conoscono ben poco del passato perché un gruppo di ribelli ha distrutto la maggior parte della documentazione sulla catastrofe che ha annichilito il pianeta e sulla costruzione del rifugio. Il silo è regolato da leggi rigide, tra cui la più agghiacciante è quella che esige che chiunque richieda di uscire all’esterno non possa mai più fare ritorno.
Leggi tutto su www.wired.it
di Kate Knibbs www.wired.it 2023-05-13 16:00:00 ,