“Ciò che sta accadendo in Siria non si estenderà all’Iraq e ci auguriamo che il premier iracheno Shia al Sudani impedisca alle Forze di Mobilitazione Popolare di interferire in ciò che sta accadendo in Siria schierandosi dalla parte del regime del presidente Bashar al Assad che è in via di estinzione”. Con queste parole Mohammad al-Julani, capo di Hayat Tahrir al Sham (HTS), si rivolgeva ieri al governo iracheno, pochi minuti dopoché i suoi miliziani avevano preso il controllo della quarta città della Siria, quella Hama che a molti ricorda le repressioni del 1982 sulla Fratellanza Musulmana da parte del padre di Bashar, Hafiz al-Assad, che costarono la vita a decine di migliaia di persone. La caduta di Hama segue quella di Aleppo che i miliziani hanno riconquistato in meno di 24 ore. Ed è di queste ore la notizia del rapido avvicinamento a Homs, terza città del Paese, fondamentale collegamento tra la capitale Damasco e la costa siriana, mentre al Sud scoppiano rivolte a Suwayda, Dar’a e altre città. Sembra un revival di ciò che accadde nel 2011, quando un regime assediato venne salvato dall’intervento dei suoi alleati, Russia in primis. Oggi, però, la situazione è molto cambiata e quegli alleati sono già impegnati su altri fronti caldissimi ai propri confini.
HEZBOLLAH – Tra gli alleati di Bashar al-Assad, tuttavia, qualcosa sembrava muoversi già da qualche giorno. Nelle stesse ore in cui ha parlato al-Julani lo ha fatto anche Naim Qassem, leader di Hezbollah in Libano, affermando che “i gruppi terroristici che vogliono far cadere il regime non saranno in grado di raggiungere i loro obiettivi e noi come Hezbollah saremo al fianco della Siria per sventare gli obiettivi di questa aggressione orchestrata da Israele e Stati Uniti“.
Due giorni prima, dopo la caduta di Aleppo, fonti anonime citate dalla Reuters ipotizzavano la partecipazione al conflitto in Siria delle milizie irachene e filo-iraniane, ma non quella di Hezbollah, perlomeno nelle prime fasi, e nonostante i miliziani, mentre scriviamo, si trovino a meno di 80 chilometri dalla cittadina di Hermel, nel nord est del Libano, dove la presenza della stessa Hezbollah è molto radicata. Va tuttavia tenuto presente che questa avanzata dei ribelli, a prescindere dalla loro reale progettualità, viene letta dall’intero “Asse della Resistenza” – come segnalato dalle parole di Qassem – come una avanzata sostenuta e guidata da Israele e Stati Uniti, inscrivibile quindi nel conflitto che si è riacceso nel corso dell’ultimo anno. È quindi assai probabile che Hezbollah invii suoi uomini perlomeno a difesa di Damasco. Secondo alcuni report non confermati, in realtà uomini di Hezbollah sarebbero già diretti verso Homs.
Le capacità offensive di Hezbollah sono state indebolite da Israele ma proprio la faticosa invasione terrestre israeliana in Libano – interrottasi con il cessate il fuoco – ha dimostrato come i miliziani libanesi siano ancora operativi sul terreno, nonché particolarmente avvezzi allo scontro terrestre. Funzionari dell’intelligence americana, inoltre, alcuni giorni fa riferivano alla Reuters che Hezbollah sta già lavorando al riarmo, facendo affidamento sulla produzione colf (ma anche su quella in Siria) e lanciando anche una nuova massiccia campagna di reclutamento.
MILIZIE IRACHENE – Ancora più articolata la questione del possibile intervento in Siria delle milizie irachene, coinvolte solo marginalmente dal conflitto tra Israele ed Hezbollah. Negli ultimi tre giorni le notizie da Baghdad sono parse contraddittorie, forse per via dell’estrema fluidità del contesto. Il 30 novembre, prima della caduta di Aleppo, l’Iraq ha chiuso la frontiera terrestre con la Siria, schierando delle truppe lungo i 600 chilometri che separano i due Paesi. Il 2 dicembre, nel rispondere alle voci secondo cui alcune milizie irachene fossero già entrate in Siria, il capo delle PMU, Falih Al Fayyad, negava, sostenendo che “le milizie (che sono inquadrate nell’Esercito iracheno, ndr) non operano fuori dal Paese”.
A contraddirlo, paradossalmente, ci ha pensato il giorno dopo su Al Rabiaa tv nientemeno che il Capo delle Forze armate irachene, il generale Yahya Rasool Abdullah: “HTS come l’Isis è una creazione delle agenzie di intelligence per distruggere i Paesi arabi e proteggere Israele. Le fazioni della resistenza operano in Siria e per queste ragioni hanno tutto il diritto di farlo”. Gli ha fatto eco Qais Al Khazali, capo della milizia Asa’ib Ahl al Haq, forse la più irrequieta e la meno “controllabile” da Teheran, che è stato ripreso in abiti militari mentre, quasi in lacrime, promette ai suoi sostenitori che “il Santuario di Sayyidah Zainab (luogo di pellegrinaggio sciita, ndr) verrà protetto”.
L’utilizzo di questo genere di retorica, al di là delle considerazioni geopolitiche, segnala un pressoché certo coinvolgimento delle milizie, che anche secondo Al Jazeera sarebbero già entrate in Siria. Un video dello scorso 4 dicembre rassegna Ayoub Faleh Hassan, comandante delle Brigate Imam Ali – divenuto celebre negli anni più intensi della guerra all’Isis in Iraq non solo per il suo protagonismo militare contro gli uomini di Al Baghdadi ma anche per quello sui social, sui quali era divenuto riconoscibile per la sua retorica sprezzante nei confronti di Daesh, epitomizzata dalla frase “li riduciamo in polvere” – girare ai suoi sottoposti, schierati al confine con la Siria.
“Ci troviamo entro i confini iracheni. Non abbiamo diritto ad attraversarli. Non siamo una milizia, anche se non c’è nulla di male in questo nome, perché una milizia combatte al di fuori dei propri confini, e noi non lo abbiamo fatto. Ma se arriva l’ordine del nostro primo ministro, oppure dal segretario Hajj Shibl Al Zaidi (capo della Brigata Imam Ali, ndr), giuro su Dio, io sarò il primo ad andare a cercare il martirio sulla tomba di Sayyidah Zainab”, tuona alle sue truppe Abu Azrael, che poi precisa: “A chi mi chiede perché non siamo entrati in Libano, o in Siria io rispondo che non vogliamo il caos. Saremmo stati arrestati se fossimo andati senza coordinarci, senza approvazione. Ci vuole un lavoro centralizzato, perché agire in modo caotico ci trasformerebbe in fuorilegge che non seguono gli ordini. Ricordatevi, la parola ‘milizia’ non vale più. Al momento non ci sono ordini e noi obbediamo agli ordini. Nessuno deve più parlarci di coraggio e chiederci perché non siamo ancora entrati. Giuro su Abbas, vi mangiamo vivi“.
Le PMU sono una serie di gruppi armati a grande i più sciita, sostenuti dall’Iran e inquadrati all’interno delle Forze armate irachene, perlopiù come reparti d’elitè, protagonisti assieme ai peshmerga curdi delle battaglie che portarono alla cacciata dell’Isis da gran parte del Paese durante lo scorso decennio.
IRAN – Il loro coinvolgimento nel rinnovato conflitto siriano sembra imminente e ciò sembra poter essere un altro test per l’Iran e la sua profondità strategica. Teheran è il principale alleato del regime di Damasco, nonché il soggetto che ha forse più da perdere da una caduta di Assad. Il regime gli garantisce un collegamento con in Libano ed Hezbollah, soprattutto attraverso il controllo della costa siriana e della direttrice Beirut-Damasco.
Dei numeri affidabili sulle perdite iraniane in Siria durante lo scorso decennio non esistono: si parla di 2mila uomini ma molti analisti ritengono si tratti di miliziani afghani inquadrati nelle milizie Fatemyioun, dislocate in Siria dalle Irgc. Rimane certo un dato: l’Iran ha investito diversi miliardi di dollari in Siria ed è verosimile che si adopererà per eludere la caduta di Assad. Ciò, ovviamente, si tradurrebbe in una presa ancora maggiore sul presidente siriano che secondo diverse fonti in questi mesi è stato più volte incalzato – per esempio dagli Stati Uniti e dagli Emirati Arabi Uniti – sull’opzione di tagliare i rapporti con l’Iran.
Da quando HTS si è separata da al-Qaeda ha modificato gradualmente la sua retorica che, pur rimanendo ancorata al salafismo, ha acquisito tinte nazionaliste e non più funzionali alla ricostituzione di un Califfato. Questa postura nazionalista sembra coerente con le parole che al-Julani ha rivolto all’Iraq ieri. In Iran e Iraq, tuttavia, viste le esperienze del recente passato, non sembrano disposti a credervi. Nel annotare la notizia dell’avvicinamento a Homs dei ribelli, un ufficiale iraniano ha riferito alla Reuters che Teheran invierà altri “consiglieri militari, missili e droni in Siria”.
RUSSIA – I russi sono al momento i più attivi nel tentativo di difendere le posizioni governative, con la realizzazione di diversi strikes aerei già dall’arrivo dei miliziani ad Aleppo. Raid che al momento non sembrano aver dissuaso le formazioni dall’avanzare verso sud, vale a dire in direzione Homs. Come accennato, Homs, riconquistata dal regime nel 2015, è una città fondamentale per il collegamento tra la capitale e la fascia costiera siriana, dove si trova la base russa di Tartous, unico sbocco di Mosca sul Mediterraneo. Per i russi, Tartous è di vitale importanza, ed è forse anche per questo motivo che sono credibili – ancorché non confermate – le informazioni diffuse dall’intelligence ucraina, secondo cui Mosca due giorni fa, dopo aver sollevato dal suo incarico il generale Seghei Kisel, capo delle truppe in Siria, a causa di “perdite significative” avrebbe allertato già i mercenari degli Africa Corps (impegnati tra Libia, Niger e Burkina Faso) sulla possibilità di intervenire in Siria.
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di Lorenzo Forlani
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2024-12-06 19:33:00 ,