Quando a un confronto fra genitori e preside devono intervenire il 118 e la Polizia, significa che quei genitori sono evidentemente una parte importante del problema. Su questo, non c’è appello. E la vicenda accaduta al liceo scientifico Ettore Majorana di Latina, dove alcuni famigliari di una studentessa avrebbero aggredito verbalmente il dirigente scolastico reo di aver imposto il bando degli smartphone nel suo istituto (i contorni precisi della vicenda sono da chiarire, ma ci interessano fino a un certo punto), lo certifica. Sfortunata la giovane a essere cresciuta con chi pensa di relazionarsi attraverso la violenza.
Sullo sfondo, però, il problema rimane in tutta la sua imperscrutabilità e perseguita dirigenti, insegnanti e gran parte delle famiglie da anni, fin dai tempi dei “feature phone”, dei Nokia e compagnia a cavallo del passaggio di millennio: esiste una terza via fra il “sequestro” mattutino dello smartphone e il delirio compulsivo che devasta attenzione e didattica quando questo è lasciato in mano agli studenti? In altre parole, come si fa a privare gli adolescenti di uno strumento che è il grimaldello della loro vita quotidiana, l’oggetto – ricercato e al contempo scontato – che intermedia, sovrappone e cuce fra loro i diversi livelli dell’esistenza, spedendoli in immediata crisi di astinenza? E allo stesso tempo, come si riesce a tutelare la dignità di una mattina d’insegnamento che merita il giusto raccoglimento, una decente soglia d’attenzione e quel poco di rispetto che ancora si deve a un’aula scolastica, il primo e forse unico investimento sul nostro futuro?
Difficile rispondere perché la questione, sia in termini pedagogici che pubblicistici, è da sempre uno dei terreni di scontro prediletti dagli apocalittici e dagli integrati, tra pedagoghi di varie scuole e divulgatori, insegnanti e filosofi, genitori e studenti, scrittori e divulgatori. Ognuno convinto delle sue ragioni per tenere sempre in mano o, più raramente, eliminare il telefono dal banco e perfino dalle tasche. Non a caso gli scaffali delle sezioni di puericultura, sociologia e adolescenza delle librerie sono piene di manuali che in fondo non ha mai letto nessuno. Eppure di proposte concrete che passano dal bando assoluto al Far West, umili e minimali ma magari in grado di dare una mano, potrebbero essercene: per esempio un patto che chieda massima attenzione per gran parte dell’ora di lezione in cambio di 5 minuti finali di confronto informale e, en passant, controllo dello smartphone? Lo so, ad alcuni sembrerà una resa. Ma l’importante è portare a abitazione il risultato. E se serve a risparmiarci qualche rissa fra presidi e genitori, anche meglio.
Il parere
“Ci vuole una via di mezzo. Nel mio mondo dei sogni la scatola non sarebbe necessaria – spiega a Wired Italia Valentina Farinaccio, scrittrice, responsabile degli eventi all’hub culturale Moby Dick di Roma, impegnata in numerose iniziative formative anche nelle scuole –. I ragazzi sanno, perché questa cosa gli è stata insegnata crescendo, che in alcune situazioni i telefoni non vanno utilizzati. Semplicemente perché bisogna rispettare quella regola. Altro che mondo dei sogni: nel mondo in cui in realtà credo, fatto di fiducia verso i ragazzi, basta che venga detto loro di tenere spenti i cellulari, chiusi in uno zaino. Ovviamente questo richiede un po’ più di controllo da parte degli insegnanti, un po’ più di attenzione, un po’ più di dialogo, elementi fra l’altro sempre auspicabili a prescindere dal tema cellulari”.
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di Simone Cosimi www.wired.it 2022-10-18 15:17:27 ,