Nasce a Roma la prima associazione nazionale dei social media manager. Ansmm, questo l’acronimo, è presieduta da Riccardo Pirrone, noto al pubblico per le campagne Taffo, azienda di onoranze funebri diventata caso mediatico per gli irriverenti post basati sul dark humour. L’associazione si propone di fornire rappresentanza agli oltre centomila che lavorano nel ruolo. Ma cifre ufficiali non esistono, e questo, secondo gli organizzatori, è parte del problema. L’iscrizione costa 12 euro e dà diritto a una serie di servizi, dall’assistenza legale a uno sportello di consulenza a corsi di formazione. Ma, soprattutto, consentirà di fornire rappresentanza a una figura “che a livello di collettività è considerata come quella di uno smanettone” dice Pirrone a Wired. E di chiedere un codice Ateco (una classificazione delle attività economiche) ad hoc.
Storia del ruolo di social media manager
Presente ovunque, spesso nell’ombra, spesso freelance, quella del social media manager è una figura che, nel corso degli anni, si è consolidata attorno a un set di competenze preciso. Agli albori il ruolo era poco definito e spesso gestito in modo amatoriale. “In molti casi è ancora così” riprende Pirrone. Ma anni e cifre hanno dimostrato che i social non sono uno scherzo, e possono cambiare il destino di un’azienda: in meglio, come insegnano Taffo, “o il caso dell’Estetista Cinica e di Veralab, con un fatturato da sessanta milioni in gran parte determinato dai social”. O anche quello, recente, del Venezia, il cui account inglese è diventato virale nelle scorse settimane con una serie di tweet ironici sull’apertura del profilo Tik Tok. “Sadly, we’re on TikTok now. If you’re like 12, follow us there”. Tredici parole che sono valse 135.612 like, 1.910 citazioni e 8.311 retweet per una pagina che viaggiava su cifre estremamente più piccole, tanto che il colosso cinese Byte Dance se ne è accorto, e ha chiesto la rimozione del tweet. Invito rispedito al mittente. Ma ci sono anche casi di crisi da miliardi di euro, come sanno bene Dolce e Gabbana, che per un errore di comunicazione rischiarono di giocarsi il fondamentale mercato cinese.
Destini politici
Ma non si tratta solo di economia: i social media hanno il potere di influenzare i destini politici di paesi: come nel caso delle elezioni americane del 2016, con Facebook e lo scandalo di Cambridge Analytica che ebbero un ruolo nel portare alla dimora Bianca Donald Trump. O di quelle italiane del 2018, con la strategia del comunicatore Luca Morisi per la Lega, in grado di portare Matteo Salvini a passare da percentuali a una sola cifra al ruolo di vicepresidente del Cconsiglio e ministro dell’Interno, prendendo voti persino in un sud dimentico del passato secessionista del leader milanese.
“E infatti c’è una questione etica da affrontare – sottolinea Pirrone -. Queste figure professionali possono veicolare messaggi e valori, cambiare l’opinione pubblica, anche attraverso la condivisione di fake news e la moderazione, che in certi casi viene meno”. Ecco, allora quali competenze sono richieste? “Sicuramente quelle in comunicazione, in psicologia delle masse; poi quelle generali di marketing, di cui il social media management è solo una parte. Vedo corsi di poche lezioni, che non possono bastare. Conta molto, infine, la componente numerica: dalle analisi alla presentazione delle reportistica al cliente, è fondamentale per verificare la resa del lavoro“.
Cosa farà l’associazione e come iscriversi
L’associazione nazionale dei social media manager nasce col mandato chiaro di rappresentare la categoria in sede sindacale e nelle contrattazioni collettive, supportandoli nelle controversie, nelle vertenze di lavoro, nelle pratiche fiscali e tributarie. Inoltre, sta elaborando studi e proposte sui problemi economici che interessano i propri associati.
“Il social media manager è un professionista a tutti gli effetti, come un avvocato”, spiega Pirrone. Insieme a lui, ci sono Renato Scattarella (vicepresidente), Tania Varone (segretario e tesoriere) e l’avvocato Alberta Antonucci (membro direttivo del Comitato): una presenza necessaria, “perché sempre più spesso nel caso di disastro mediatico si tende a dare la colpa proprio al social media manager”. “Fondamentale – conclude Pirrone – sarà l’istituzione di un ente di formazione professionale e la certificazione delle competenze per gli aspiranti professionisti dei social“.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2022-07-15 12:10:30 ,