Nella fase successiva dell’esperimento i “solleticatori” hanno ripetuto l’azione dello stadio precedente, mentre i loro partner hanno provato a farsi il solletico da soli (nello stesso punto ma sul lato opposto del corpo, appena accanto oppure simulando l’atto senza toccare la pelle).
Come previsto, i tentativi di auto-solletico non hanno sortito effetti. Il team ha però notato qualcosa di strano: l’atto rendeva il solletico dell’altra persona meno intenso. In media le risate sono diminuite del 25 % e sono stata ritardate di quasi 700 millisecondi quando erano interessate le stesse zone. “È stata una sorpresa – spiega Brecht –. Ma è emerso molto chiaramente nei dati”.
Prevedibilità e inibizione
Come si spiega questo fenomeno? Per rispondere, bisogna tornare alla domanda sul perché non riusciamo a farci il solletico da soli. La teoria principale sostiene che il solletico provochi la risata grazie a un errore di previsione del cervello, che viene confuso da un tocco imprevisto andando in fibrillazione. I tentativi di farsi il solletico da soli invece sono sempre prevedibili.
Ma Brecht pensa che il punto non sia la capacità di previsione. Il ricercatore suggerisce invece che quando una persona si tocca il proprio corpo, il cervello invia un messaggio a tutto il corpo inibendo la sensibilità al tatto. Se così non fosse, sostiene Brecht, ci faremmo continuamente il solletico ogni volta che ci grattiamo un’ascella o ci tocchiamo le dita dei piedi.
La teoria ha un suo senso, dice Sophie Scott – neuroscienziata cognitiva dell’University College di Londra non coinvolta nella ricerca – perché il nostro cervello impara ad attenuare le percezioni sensoriali quando a causarle contribuiscono le nostre azioni. Lo stesso effetto di oscuramento, continua, si verifica con l’udito. Mentre parliamo, le parti del cervello che ascoltano le altre persone vengono soppresse. (Ecco perché, prosegue Scotto, “le persone non sono capaci di giudicare il volume della loro voce”). Kilteni osserva che non è ancora chiaro cosa avvenga esattamente nel sistema nervoso quando una persona subisce il solletico, anche auto-inflitto. La neuroscienziata è comunque impressionata dai dati che il team di Brecht è riuscito a raccogliere.
Il volto non dice tutto
Il contributo alla scienza delle sessioni di solletico in laboratorio va al di là del lato divertente. Chiariscono anche aspetti poco studiati dell’elaborazione emotiva. “La gente dice che non esprimiamo le emozioni in modo molto intenso con la voce, che è compito del viso – dice Scott, che non potrebbe essere più in disaccordo –. La voce esprime parole, stati d’animo, identità, salute, età, sesso, genere, origini geografiche e status socioeconomico: sono solo più difficili da studiare rispetto ai volti“. Scott aggiunge che anche il tatto è molto sottovalutato. La compassione e l’affetto si esprimono molto più chiaramente con il tatto che con i volti o le parole.
L’équipe di Brecht ha intenzione continuare a studiare il gioco attraverso le neuroscienze in studi futuri. Gli esperti hanno ipotizzato che il livello di suscettibilità al solletico rifletta la percezione che abbiamo di noi stessi riguardo alla nostra giocosità. Mentre questo aspetto sembra vero per altri animali – un ratto che soffre molto il solletico è anche più giocoso – è più discutibile per gli esseri umani. “Mia moglie soffre di più il solletico – dice Brecht –. Ma io sono molto giocherellone!”.
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di Max G. Levy www.wired.it 2022-10-15 04:50:00 ,