Spostare l’attenzione dalla definizione fisica a una classificazione funzionale dello spazio consentirebbe agli Stati di stendere la sovranità anche sulle zone per lo svolgimento di attività orbitali e suborbitali, mentre lo spazio esterno rimarrebbe soggetto ai principi dell’OST, come la libertà di esplorazione e l’uso pacifico.
Questa distinzione giuridica non è nuova. I giuristi hanno dibattuto a lungo sull’idea di prolungare verso l’alto la sovranità nazionale, sulla base del vecchio principio del diritto romano in base al quale il diritto si estende usque ad sidera – fino al cielo, e dunque senza limitazioni.
Per quanto intuitivamente accettabile (non c’è una differenza qualitativa fra un aero che vola a diecimila metri e un satellite che orbita a 300 km di altezza sul territorio di uno Stato) questa proposta è stata considerata impraticabile. Oggi, però, l’evoluzione tecnologica, i cambiamenti del mercato e degli equilibri geopolitici impongono di riconsiderare questa posizione. D’altra parte, si tratta di utilizzare un criterio funzionale e non scientifico, per cui nulla vieta di creare a tavolino un “aerospazio nazionale” da affiancare al già esistente “spazio aereo nazionale”, e nel quale far rientrare le orbite di interesse.
Cosa si deve fare?
Creare una “giurisdizione orbitale” produrrebbe effetti concreti e immediati. In primo luogo, consentirebbe una gestione razionale di una risorsa, le orbite terrestri, enorme ma in ogni caso finita e dunque, come le frequenze radio o i numeri IPv4, scarsa.
Tramite la creazione di un sistema di concessioni e autorizzazioni (ancora una volta, in analogia con quanto accade con le radiofrequenze) si faciliterebbe la stipula di accordi internazionali per regolamentare licenze, attribuire responsabilità e coordinare costellazioni satellitari, riducendo il rischio di conflitti e militarizzazione dell’aerospazio.
Inoltre, strumenti giuridici armonizzati potrebbero combattere in modo migliore le sfide delle tecnologie satellitari a doppio uso, garantendo un equilibrio tra interesse nazionale, security shared responsibility e sviluppo economico. Rimane soltanto il dubbio sulla possibilità che di queste cose possa occuparsene direttamente l’Unione Europea, trattandosi di ambiti che potrebbero rientrare fra quelli riservati agli Stati membri.
Scongiurare l’effetto Nightfall
Al di là degli aspetti strettamente geopolitici e industriali, tuttavia, c’è una ragione più profonda che sostiene l’importanza di riprendere il controllo delle orbite, ed è quella di aggirare quello che potremmo chiamare “effetto Nightfall”.
Nel racconto che Asimov scrisse nel 1941, la civiltà di un pianeta si autodistruggeva periodicamente perché essendo abituata a vivere in uno stato di illuminazione continua per via dei soli attorno ai quali orbitava il pianeta, impazziva quando – altrettanto periodicamente – una luna provocava un’eclissi quando c’era soltanto un sole visibile. L’incapacità di gestire il buio anche solo per pochi minuti precipitava gli abitanti in chaos tale da provocare la quasi estinzione degli abitanti e dunque la civiltà si “resettava” ogni volta.
Non siamo certamente (ancora) ad un livello del genere, ma l’accozzaglia dei satelliti sta già causando seri problemi all’osservazione astronomica terrestre e all’astrofotografia. Insieme all’inquinamento luminoso, la crescita indiscriminata delle costellazioni satellitari rischia di accecare proprio quell’intuito che, guardando l’universo, le ha rese possibili e che, percependo l’infinito, ha dispotico di esplorarlo.
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di Andrea Monti www.wired.it 2025-01-14 05:30:00 ,