Si rimane incollati allo schermo guardando Speak No Evil – Non parlare con gli sconosciuti, ma per ragioni diverse rispetto al solito. Non è un ritmo elevato o un rischio clamoroso per l’incolumità dei protagonisti a catturare l’attenzione (almeno fino a un certo punto), quanto la maniera in cui una situazione da fuori molto normale si dipana con fastidio, tensione e l’ansia per ciò che non sappiamo. In teoria la storia non è di quelle che mettono paura o tensione, ma quella di una famiglia che va ospite a casa di un’altra. I due nuclei si sono conosciuti in vacanza e i rispettivi bambini hanno la medesima età. Rientrati in città, quindi, i protagonisti decidono di accettare l’invito nella casa di campagna di questi nuovi amici, per trascorrere qualche giorno lontano dalle tensioni cittadine.
Una volta arrivati, le giornate passano come ci si potrebbe aspettare, ma c’è sempre qualcosa che incombe, una strana aria, come se ci fossero elementi fuori posto. Anche l’interazione con l’altra coppia, che ha mille piccole differenze rispetto a quella protagonista, è sul filo della tensione e dell’inquietante. Soprattutto quando è coinvolto il marito e padre, uomo tutto d’un pezzo con una risposta per tutto, che educa il figlio severamente e sembra mantenere una cortesia di facciata che nasconde un disprezzo pronto a esplodere. Quando le cose cominciano a farsi fastidiose e la permanenza poco piacevole, sembra a tutti sconveniente e incivile andarsene di colpo; peggio ancora sarebbe trattare una discussione in cui spiegare le ragioni di una partenza anticipata. Tutto, se ve lo state chiedendo, a un certo punto sfocerà, si capiranno molte cose e altre verranno a galla molto chiaramente nella parte più d’azione.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2024-09-11 15:27:43 ,