Un nuovo allarme arriva dalle alte quote dei monti del Parco nazionale del Gran Paradiso, l’ennesimo di una serie di problemi legati al cambiamento climatico. Gli stambecchi, “Re delle Alpi” e presenze emblematiche sulla catena, sono nuovamente a rischio. Era già successo già in passato, finché il re non dichiarò il loro habitat Riserva reale di caccia pur di salvarli. Ma all’epoca era stata colpa dell’attività venatoria, ora il rischio è attribuito alla diminuzione del manto nevoso. Anche se per gli stambecchi la diminuzione di neve potrebbe sembrare un fatto vantaggioso, trattandosi di animali “più pesanti e che fanno più fatica dei camosci” a muoversi sul manto bianco, come ha spiegato la guida Serena Ciampa, in realtà gli effetti si ripercuotono su di loro indirettamente.
La diminuzione di neve (dunque di acqua) comporta un abbassamento dei nutrienti dell’erba, alimento essenziale per questi animali soprattutto in fase di svezzamento. I dati parlano chiaro: si sta registrando un alto tasso di mortalità nella specie, dove solo un piccolo su tre riesce a superare i primi mesi di vita. Un dato allarmante se si pensa che prima il tasso di sopravvivenza era del 70%. In ogni caso, i capretti nascono più deboli e rendono ancora più fragile “una specie con già bassissima variabilità genetica”, spiega Bruno Bassano, direttore del Parco nazionale.
Negli ultimi trent’anni, scrive La Repubblica, la cittadinanza di stambecchi è dimezzata rispetto al picco di 5mila esemplari raggiunto agli inizi degli anni Novanta, e ora, nei 70mila ettari di Parco (ormai più verdi che bianchi), si arriva a contarne circa 2.700. Il picco negativo ha colpito anche gli altri grandi esemplari della biodiversità: i camosci, che da 9mila sono passati ad essere oggi 5.600. Bassano espone il problema approfondendone le conseguenze a lungo termine: “Se il trend climatico continuerà, gli stambecchi, ma anche altre specie, saranno costretti a modificare i loro comportamenti, ad esempio salendo sempre più in quota”. Solo l’adattamento può salvare la specie dall’estinzione ma perché ciò avvenga gli stambecchi avrebbero “bisogno di tempo, mentre il cambiamento climatico è molto rapido”. Non solo: gli animali si troverebbero a dover salire su picchi molto più alti, “dove però non c’è habitat” e dove anche l’uomo si troverebbe a dover spostare nuove piste di sci di fondo, aumentando il turismo e lo sfruttamento delle montagne. Solo nel Parco del Monviso i numeri sull’animale sono rassicuranti: a dicembre si è registrato il record massimo di esemplari, 260 per l’esattezza.
Anche di camosci si è registrata una forte diminuzione, duemila esemplari in meno in dieci anni, mentre a tornare è stato il gipeto, uno dei più grandi rapaci europei: con l’ultimo esemplare ucciso nel 1913 nella Val di Rhêmes, dal 2011 è tornato a nidificare sul versante valdostano e di recente anche in Piemonte, in Valle Orco. Serve, una volta ancora, una riflessione sullo stato generale delle cose: sull’impatto climatico a livello di flora e fauna, sulle ripercussioni del turismo “aggressivo”, e sulla perdita (in 25 anni) di ben”30 metri di spessore di neve, praticamente un palazzo di 10 piani”, come spiega Stefano Cerise, caposervizio dei guardaparco nella Val di Rhêmes.
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di F. Q.
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2025-03-20 15:25:00 ,