Stargate usciva il 28 ottobre 1994, e appartiene a quella tipologia di film che ben pochi definirebbero uno dei loro preferiti di sempre. Eppure, per qualche ragione, il fantasy scifi di Rolland Emmerich, è uno di quei titoli che tutti, ma davvero tutti, abbiamo visto almeno 5 o 6 volte, e di cui non ci stanchiamo mai ogni volta che passa in televisione o lo becchiamo in streaming. A trent’anni esatti di distanza, è il caso di ritornare su Abydos, al cospetto del terribile Ra.
Un film che seppe toccare le corde giuste del pubblico
Stargate nacque dal comune interesse di Dean Devlin e Roland Emmerich per l’antico Egitto ma soprattutto dalla volontà di creare un film che unisse in sé il concetto di avventura, con quello di pseudostoria e soprattutto si nutrisse dei tanti miti e teorie bislacche circa l’origine di quella antichissima civiltà, che ancora oggi regala grandi gioie ai complottisti più vari di tutto il mondo. Rolland Emmerich rischiò molto, moltissimo nel realizzare questo film, che di fatto fu per lui una sorta di “o la va o la spacca” da certi punti di vista. Aveva raccolto un grande successo con il primo capitolo di Universal Soldier, ma Stargate per lui rappresentava la possibilità di entrare definitivamente nel giro grosso di Hollywood (come in effetti poi accadde). La critica del resto era stata ben poco benevola con tutti i suoi film, molti erano sicuri che fosse solo questione di tempo prima che tornasse al mondo dei b-movies da cui proveniva. Tuttavia, per Stargate Emmerich ebbe dalla sua due elementi chiave: un cast perfetto ed effetti speciali assolutamente all’avanguardia. Kurt Russell era da due decenni una star assoluta, James Spader era giovane ma già acclamato e con film molto importanti all’attivo, mentre Jaye Davidson con Crying Game di due anni prima era diventato il nuovo volto del cinema, con tanto di nomina agli Oscar. Stargate però non sarebbe stato tale senza un team agli effetti speciali grandioso, formato da Jeff Kleiser e Diana Walczak, esperti di realtà virtuale e software grafici, che donarono agli spettatori una visione dei viaggio spazio-temporali come non si vedeva dai tempi di 2001: Odissea nello Spazio.
Ma tutto questo non sarebbe servito senza l’ispirazione brillante di Emmerich di concepire un film in cui l’essenza stessa dell’adventure letterario e cinematografico, si univa alla fantascienza nella sua veste più inquietante ed affascinante. Stargate parte dal deserto africano di 8mila anni fa. Vicino ad un accampamento nomade sbarca una gigantesca astronave. Atterriti gli abitanti scappano, ma un giovane sciamano si avvicina, per essere infine risucchiato dall’astronave misteriosa. Passiamo al 1928, ad un gigantesco anello di metallo trovato in Egitto, fatto di un materiale sconosciuto e trovato dal Professor Langford. Ma da dove arriva? Altro salto temporale, ai giorni nostri, per presentarci Daniel Jackson, giovane egittologo dalle bizzarre teorie, che viene reclutato dalla Prof.ssa Catherine Langford (Viveca Lindfors), figlia dell’archeologo che tanti anni prima aveva trovato il manufatto. Jackson crede che le Piramidi siano state costruite da qualcuno arrivato prima degli egizi, ma viene sempre deriso e sbeffeggiato dai colleghi. Non può immaginare ciò che la Langford gli offrirà: partecipare ad un team di investigazione supersegreto, coordinato dal Pentagono, che cerca di capire cosa sia quell’anello così antico e a cosa serve. Nei primi 7 minuti di Stargate, di dialoghi quasi non ve n’è traccia o quasi, ma Emmerich sfodera subito la sua qualità migliore di regista: creare un’atmosfera e fartici finire dentro, perso in quel passaggio spaziotemporale che attraverso l’anello farà finire Jackson e gli altri su un altro pianeta.
Tanta fantasia e un villain tra i più inquietanti di quegli anni
Stargate funziona anche perché funziona benissimo la chimica tra loro due: Jackson ed O’Neill. Unendoli si otterrebbe unicamente una sorta di Indiana Jones. Jackson è un secchione nerd con gli occhiali, goffo, insicuro ma anche intuitivo e di buon cuore, intelligente, arguto e capisce che l’anello è in realtà la porta verso un altrove. Il Colonnello delle Forze Speciali Jonathan O’Neill (Kurt Russell), tra i comandanti del progetto, ha perso il figlio in un incidente familiare. Appare spezzato, distrutto, con solo quella missione a motivarlo. Già in quei pochissimi istanti, Emmerich decostruisce affatto con lui la lunga lista di “Rambo” che dominavano l’action, privi di crepe e difetti. In un crescendo perfetto per ritmo ed esecuzione, Stargate ci porta infine dentro quell’anello, con una squadra speciale comandata da O’Neill, con Jackson che scopre assieme a loro la verità sull’inizio della civiltà umana, connessa a lui, a Ra (Jaye Davidson) un oscuro e inquietante alieno, che nelle mani dell’attore di origine ghanese, diventa uno dei villain più belli del decennio. Ra è la personificazione più efficace del concetto di alieno come “spietatamente intelligente”, già visto in tantissimi altri film e racconti del genere fin dagli albori. Crudele, arrogante e sanguinario, ci considera un fastidio da eliminare. In lui Emmerich inserisce anche il la scelta migliore della pseudostoria, quella che fa ancora oggi la fortuna di tanti programmi televisivi strambi. Stargate però offre anche sequenze action unicamente straordinarie, su tutte l’agguato notturno nel tempio di Abydos, con le guardie di Ra e quelle iconiche maschere connesse alle principali divinità egizie.
Stargate diventava quindi la storia di un gigantesco inganno ai danni dell’umanità, e a tanti anni di distanza stupisce anche per un altro elemento fondamentale: fa paura. Nulla di esagerato intendiamoci, ma vi è un’atmosfera sovente lugubre, sinistra e inquietante, eppure stimolante perché misteriosa, che serpeggia per tutto il film. La spiegazione di Jackson ad O’Neill circa le origini di Ra rimane il momento più suggestivo del film, l’ennesima prova della capacità di narratore cinematografico di Emmerich. Poi ecco arrivare la battaglia finale, intensa ed anche crudele come il resto del film. Il finale è uno dei più iconici e memorabili del cinema di quegli anni. Stargate ebbe un successo al botteghino clamoroso, 200 milioni di dollari. Niente sequel sul grande schermo, anche se ne è parlato per anni, ma in compenso generò un franchise enorme, capace sul piccolo schermo di far sognare per anni milioni di spettatori, di espandersi nel mondo videoludico, nei fumetti. A trent’anni di distanza appare chiaro perché Stargate lo riguardiamo sempre: perché sa come solleticare quel tipo di fantasia unica, nutrita dei misteri irrisolti, della nostra volontà di immaginare un altrove con cui spiegare il nostro passato perduto, di unire il la scelta migliore di più generi in modo armonico, sommando mistero, paura, azione e scoperto come solo il grande cinema d’intrattenimento sa fare.