Questa sera Stefano Rapone bara e propone qualcosa che aveva già testato la settimana precedente, non è quindi roba freschissima, lo dice subito e se ne scusa. Il punto è che questo materiale va proprio provato. Sta cercando di cambiare, di andare un po’ più in là rispetto a quello che ha fatto fino ad ora e inserire nei suoi spettacoli (o almeno in quello che sarà il prossimo tour) qualcosa di diverso e più ambizioso: “So che le persone si aspettano da me le battute e la cosa da un lato mi stimola, perché se hai una battuta bella è proprio divertente dirla e addirittura quando ingrani bene e c’è un bel ritmo mi dispiace interrompere la serie di battute; dall’altro però voglio aprirmi a cose più sperimentali perché non voglio fare solo quello, voglio sorprendere con qualcosa che non vedi di solito. Quindi mi muovo, lascio il palco vuoto e poi provo ad interagire con il pubblico da vicinissimo, spostandomi tra di loro per vedere che succede. Mi piace un’idea di stand up che non sia solo uno che parla. Mi piace fare delle cose che esulino dal classico, insomma quello che prima di tutto mi piacerebbe vedere in uno spettacolo”.
L’empatia del disagio
Più in generale ci sono due cose che piacciono a Stefano Rapone: le battute scritte e le situazioni in cui non sai come reagire, quelle che lavorano sul contropiede e l’imbarazzo. Così ora prova a usare l’umorismo per ricreare una situazione di disagio da lui realmente vissuta, quando dovette esibirsi per un pubblico che non poteva vederlo e stava mangiando: “Quella situazione di disagio provo a raccontarla esattamente come l’ho vissuta, cercando di rendere quel malessere e così elaborarla. Il difficile è trovare un modo di portare tutto il pubblico lì dove voglio, escogitare una maniera per suscitare in loro quella stessa sensazione che ho provato io. Certo se poi riuscissi ad attaccarci un significato in più sarebbe anche meglio, ma vediamo”. Un significato tipo? “Eh… Su quello ci sto ancora lavorando”. Di certo i riferimenti per questa nuova direzione sono Andy Kaufman (un classico) ma anche Stewart Lee: “Tutti stand up comedian poco classici, che fanno cose escono dal seminato e sperimentano. La novità stimola l’attenzione ma come dicevo perché non sia solo un esercizio e basta deve avere un senso, come fa Stewart Lee”.
La vita da stand up comedian di Stefano Rapone del resto è iniziata all’insegna del disagio con un pezzo sul fatto che non sapeva cosa fare sul palco quasi tutto improvvisato: “Sta ancora su YouTube. Sono io che dico che non so che fare, con un po’ di battute. E funzionò, non avevo mai fatto niente di quel tipo in Italia e portai quello che avevo pensato fosse la versione di me comica. Solo dopo ho scoperto di saper scrivere”. Dopo quando? “Dal secondo pezzo che feci. Non sapendo di saper scrivere provai a replicare quella dinamica di me che non so che fare sul palco ma non funzionava sempre. Pensavo di avere solo quel pezzo lì e non di poterne scrivere altri. Invece quando ho provato a farlo ho visto che mi venivano cose divertenti. Ma prima di quello non avevo mai scritto niente, nemmeno un racconto”.
Leggi tutto su www.wired.it
di Gabriele Niola www.wired.it 2023-04-14 04:40:00 ,