di Andrea Fontana
Dall’altra parte abbiamo il tossico-killer negativo: “è una catastrofe”, “il nemico è qui”, “noi buoni vs voi cattivi”. Le storie tossiche negative sono contraddistinte da odio, depressione, privazione di senso e visione.
Così le storie killer, sia positive che negative, si configurano come una sorta di psicologia nera che indottrina le persone e le imprese, manipolandole. J. Levin, psicologo sociale, in Dark Psychology ci ricorda proprio come le storie tossiche-killer tendono al controllo della mente e pervertono gli atteggiamenti tanto da rendere comportamenti virtuosi – come il benessere, la bontà, la sostenibilità, l’attenzione per le persone e il pianeta – pure retoriche, svuotandole di senso e autenticità. Le storie killer di solito si “mettono i bei vestiti dell’imperatore” ma alla fine sono ripetitive, aggressive, depressive. E soprattutto tendono a polarizzarci ancora di più: ci narrano la pace, ma ci consumano l’animo e ci impoveriscono i sentimenti, lasciandoci alla fine o con un sorriso vuoto da selfie stereotipato o con un cumulo di ansia che urla rabbia.
Uscire dalla disformia e accorgersi delle storie killer
Dobbiamo renderci conto che i prodotti della comunicazione contemporanea, qualsiasi prodotto: dalla foto su Instagram all’articolo sulla rivista patinata, passando per il video di YouTube, sono frutto di un processo di costruzione: con fini e interessi specifici. Come evidenziato dallo psicoanalista clinico G. Erskine nel suo esemplare Life Scripts – quando incontriamo una storia tossica e killer dobbiamo ricordarci di gestire dei copioni di vita, dalla doppia faccia. Perché ogni storia tossica ci chiede di uniformarci a un copione di vita elementare: o sei un cavaliere Jedi – un angelo benefico, una fata buona; o sei un Sith, un demone, un mostro, una strega cattiva. E quindi il buono deve uccidere il cattivo. Non è facile evitate le storie tossiche che ci tormentano, nel bene e nel male, e ci inducono al killeraggio sociale ma per la salute di tutti noi dobbiamo cercare di farlo, e per riuscirci ci sono fondamentalmente due strategie.
La nostra iniziativa editoriale per raccontare la sicurezza in rete, valorizzare la tutela dei diritti e fare educazione per prevenire abusi e violenza
La prima è spegnere in modo mirato gli “schermi” o come ci ricorda A. Carciofi, ricercatore nel campo del benessere organizzativo, nel suo Digital detox, educarci all’uso della conoscenza digitale e non solo. L’altra implica la consapevolezza estrema e ci porta a evitare quelle storie e quei copioni di vita ripetitivi, intransigenti, egoisti, senza un futuro, che non ti danno nessuna scelta se non un aut-aut: o con me o contro di me.
Con molto senso critico dobbiamo renderci conto che oggi – in società comunicative iper-complesse – ci sono parecchie fabbriche narrative dirette dagli “gnomi malvagi”, che hanno molto interesse a preparare storie killer per dividere e imperare. Non facciamoci ammagliare troppo dai “bei mostri” che ci aspettano sotto il letto, nel reel di Instagram o nelle info del nostro smarpthone. E dubitiamo di ogni tipo di conoscenza di cui non siamo diretti testimoni perché le storie killer ci portano sempre una conoscenza precostituita, impedendoci di trovare le nostre verità.
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www.wired.it
2022-02-06 06:00:00