Un’imbarcazione “sospetta” ma niente che facesse pensare che trasportava migranti. Non solo buchi neri e sottovalutazioni: adesso nella ricostruzione della notte del naufragio di Cutro cominciano ad esserci troppe cose che non quadrano. A cominciare dall’errore della centrale operativa della Guardia costiera di Roma che, ricevendo la segnalazione di Frontex con tanto di foto e di rilevazioni termiche e satellitari, mezzora dopo, trasmette alla Capitaneria di porto di Reggio Calabria la mail di Frontex e chiama per “precisare che non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio”. Così si apprende, 12 giorni dopo la strage, dalla ricostruzione cronologica di quello che viene invece registrato come “evento immigrazione 533 del 25 febbraio” dal centro di coordinamento di ricerca e soccorso di Roma, adesso agli atti dell’inchiesta della Procura di Crotone.
Se non era una barca che verosimilmente trasportava migranti su quella a tutti nota come la rotta turca che solo nel 2022 ha portato in Calabria 18.000 persone, che tipo di imbarcazione pensava che fosse la sala operativa delle Capitanerie di porto? Di certo non uno yacht turistico e neanche una barca da pesca. Quegli elementi rilevati dall’aereo di Frontex e comunicati nell’informativa inviata a 26 indirizzi, tra cui appunto l’Imrcc di Roma, contenevano sufficienti indizi perché l’imbarcazione fosse definita “sospetta” tanto da far attivare un’operazione di polizia marittima: “Una sola persona visibile in coperta”, “un flusso di chiamate dalla barca verso la Turchia e risposte termiche dai boccaporti”, nessun salvagente o dotazione di sicurezza in vista. Ce n’è abbastanza, per qualsiasi addetto ai lavori, per ipotizzare che non si tratti della traversata dello Ionio da parte di un navigatore solitario, per altro in condizioni meteo che tendevano già a diventare impegnative.
Eppure, quella notte, alle 23.34, nella sala operativa della Guardia costiera di Roma, qualcuno non soltanto decide di non intervenire sulla scorta della mancata segnalazione di criticità nella navigazione da parte dell’Agenzia europea, ma si premura addirittura di scrivere ai colleghi calabresi che “non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio”. Escludendo così quella prassi di obbligo di soccorso, da sempre seguita dalla Guardia costiera, secondo cui qualsiasi imbarcazione di migranti è da subito da considerarsi in distress in quanto sovraffollata, non adatta alla traversata, senza le necessarie dotazioni di sicurezza e condotta da persone non preparate.
Niente di tutto questo scatta nonostante (come confermato da una annotazione di servizio allegata alla relazione) la sera prima, alle 20.51, la vicina Capitaneria di porto di Rocella Jonica avesse ricevuto un segnalazione di mayday trasmessa a Roma che aveva portato all’apertura di un evento Sar. Come mai a nessuno viene in mente di verificare se si tratti della stessa barca per la quale era partito il rituale alert a tutte le navi in transito? E tuttavia, a Reggio Calabria, dopo aver saputo dalla Guardia di finanza che “l’attività sarebbe stata gestita come un’operazione di polizia” pianificata fino alle 6 del mattino, la Capitaneria, alle 23.39, fa sapere di avere comunque preallertato le motovedette disponibili a Crotone e Roccella Jonica comunicando per altro che l’intenzione della Guardia di finanza era quella di “attendere l’imbarcazione sotto costa, condizioni meteo-marine permettendo”.
Tre ore dopo, alle 3.48, la Capitaneria di Reggio Calabria viene informata che il mare è talmente grosso che i mezzi della Finanza stanno rientrando. Ci sarebbe dunque da preoccuparsi per la sicurezza di quell’imbarcazione che non è stata ancora avvistata. E invece – dice la relazione – “entrambi gli interlocutori concordano circa la mancanza di elementi di criticità in considerazione del fatto che l’unità era in assetto, che a bordo era visibile solo una persona e che l’ultima posizione nota era a circa 40 miglia dalla costa”.
“Non funziona la distinzione fra operazione di polizia e l’attività di ricerca e soccorso – dice l’avvocato Francesco Verri del pool di legali che rappresenta le famiglie delle vittime – . Per legge l’una non esclude l’altra. E’ scritto nero su bianco nel Decreto ministeriale del ministro dell’Interno del 2003″
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-03-10 08:39:24 ,www.repubblica.it