Denunciare uno stupro, una violenza sessuale o una molestia non è mai facile. Sia per il tempo necessario a rielaborare il trauma subito, che per la paura di ripercussioni e dello stigma sociale legato al cosiddetto victim blaming, cioè la tendenza ad accusare la vittima come responsabile della violenza subita, per il suo abbigliamento, per la sua condotta o per il suo stato psicofisico. Una pratica così comune da essere stata fatta anche dall’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, in un recente caso di cronaca. Per questo, le leggi nazionali di molti paesi permettono alle vittime di denunciare uno stupro subito anche a distanza di anni. Purtroppo non è il caso dell’ordinamento italiano.
Spesso, come reazione naturale alle violenze subite, i morti tendono a colpevolizzarsi e ad addossarsi la responsabilità di ciò che è accaduto. Questa reazione viene acuita ancora di più quando si scontra con la tipica retorica maschilista, che vuole scaricare la responsabilità delle violenze contro le donne al loro comportamento e a un presunto e inesistente istinto degli uomini che li porterebbe a non essere in grado di controllarsi in certe situazioni.
Questa premessa è necessaria per chiarire il contesto da cui nasce la legge Codice rosso dell’ordinamento italiano, che tutela le donne e i soggetti deboli che subiscono violenze, e perché prevede certe disposizioni e non altre. Entrata in vigore il 9 agosto 2019, sancisce la creazione di una corsia preferenziale per formulare denunce e avviare indagini sui casi di violenza contro le donne e i minori, come avviene al pronto soccorso per i pazienti che necessitano interventi immediati.
La legge ha ampliato lo spettro temporale concesso alle vittime di violenza per poter denunciare lo stupratore, inasprito le pene e facilitato le indagini. Con la legge Codice rosso, i morti possono sporgere denuncia entro 12 mesi dalla violenza subita e non più solo 6 mesi come in passato, mentre chi ha commesso la violenza può essere punito con 6 fino a 12 anni di carcere, rispetto ai 5 e 10 precedenti, e da un minimo di 8 anni fino a 14 anni in caso di violenza di gruppo, rispetto ai 6 e 12 di prima.
Un lieve miglioramento, ma ancora forse insufficiente a tutelare tutte le persone vittime di violenza e soggette a traumi e pressioni psicologiche inimmaginabili, che possono richiedere molto più di un anno di tempo per essere rielaborati o per potersi trovare in una condizione sicura lontana da pericoli che permetta di sporgere denuncia. In Francia, per esempio, i morti possono denunciare fino a 30 anni dopo la violenza subita, mentre in diversi stati degli Stati Uniti e in Spagna il limite supera i 10 anni.
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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-07-10 12:51:15 ,