A luglio, il governo era corso ai ripari mettendo sul tavolo 1,2 miliardi. In questo modo l’incremento del prezzo dell’elettricità era stato dimezzato (9,9 % invece che 20). Stavolta l’esecutivo potrebbe dover mobilitare una cifra maggiore per comprimere, se non proprio azzerare, l’aumento che si profila per ottobre e che il ministro della Transizione ecologica Cingolani ha quantificato in circa il 40 %. Alla fine, la percentuale potrebbe risultare un po’ più bassa (dipenderà anche dalle oscillazioni sui mercati in questi giorni, in particolare del prezzo del gas) ma l’impatto da affrontare sarà comunque molto consistente. Il tempo a disposizione non è molto: Palazzo Chigi e i ministeri dell’Economia e dello Sviluppo dovranno mettere a punto nei prossimi giorni la propria strategia, con il consenso dei partiti della maggioranza.
GLI STRUMENTI
Nella cassetta degli attrezzi ci sono tre strumenti ai quali fare ricorso. Il primo è stato già utilizzato per il terzo trimestre: si tratta di impiegare i proventi delle aste Ets (i diritti che le imprese pagano sostanzialmente a fronte delle emissioni di CO2) per abbassare temporaneamente gli oneri di sistema e in questo modo compensare almeno parzialmente il rialzo della componente energia. La seconda possibilità è agire sempre sugli oneri di sistema, ma in modo strutturale, portando fuori dalla bolletta quelli impropri per metterli a carico del bilancio dello Stato; come già suggerito più volte dall’Arera (l’autorità che vigila sul settore dell’energia e su quelli dell’acqua e dei rifiuti). Infine la terza opzione, sollecitata in queste ore anche da alcune forze politiche, chiama in causa la leva fiscale: la tassazione è una parte non trascurabile del costo finale dell’elettricità, quasi 3 euro a kWh su un totale di circa 23. In particolare l’intervento potrebbe essere sull’Iva, applicata oggi sul totale del costo del servizio incluse le stesse accise che già concorrono ad aumentare il prezzo finale.
L’OPERAZIONE
Le strada che al momento appare più facilmente percorribile è la prima. Con le aste dei permessi di emissioni i governi (non solo quello italiano) incassano risorse finanziarie dagli operatori energetici in cambio di diritti ad emettere gas a effetto serra. Si tratta di uno strumento adottato a livello europeo proprio per contenere le emissioni di CO2. Dirottare questi fondi sulla riduzione delle bollette vuol dire in qualche modo farli ritornare indietro a beneficio degli utenti. Un modo insomma di compensarli per aumenti che in parte dipendono, oltre che dai prezzi delle materie prime, anche dai costi della transizione ecologica avviata a livello continentale; con l’ambizioso obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, riducendo del 55 % per il 2030 le emissioni di C02. L’operazione ha dunque un suo senso logico, fermo restando che per un intervento di emergenza, nel caso queste risorse non siano sufficienti, il governo potrebbe comunque attingere ad altri avanzi di bilancio.
Il riassetto strutturale è invece certamente in calendario ma potrebbe scattare in una fase successiva, in concomitanza con la riforma della concorrenza. L’Arera (che in queste ore è in contatto con il governo) ha già indicato le voci su cui intervenire: si tratta di quegli oneri non connessi agli obiettivi “politici” di sviluppo ambientalmente sostenibile e di tutela delle fasce più deboli. Quindi copertura dei costi di smantellamento delle centrali nucleari dismesse e di chiusura del ciclo del combustibile nucleare, e di quelli relativi al regime tariffario speciale riservato a Rete ferroviaria italiana (che valgono complessivamente quasi 1 miliardo) più altre possibili voci come quelle relative alle imprese energivore. Continuerebbe invece a pesare sulla bolletta il grosso dei costi per il supporto alle energie rinnovabili.
LE ALIQUOTE
Infine c’è la leva fiscale, già usata in passato anche per gli aumenti dei carburanti: un intervento non escluso ma che il governo dovrà ponderare con attenzione. Non sarebbe facile in ogni caso riuscire a contrastare per questa via gli aumenti che si profilano. L’Iva sull’elettricità è applicata nella misura del 10 per il cento per le utenze domestiche e del 22 % per le altre (con alcune eccezioni). Gli aumenti di prezzo causano anche una crescita delle entrate per lo Stato, che potrebbe essere quanto meno sterilizzata attraverso una temporanea riduzione delle accise, senza una perdita di gettito per il bilancio pubblico.
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