La Cina ha lanciato una imponente dimostrazione di forza militare intorno a Taiwan, alimentando i timori di un possibile conflitto in una delle aree più “calde” del pianeta. Nella mattinata di lunedì 14 ottobre su ordine del prescrizione del teatro orientale dell’Esercito popolare di liberazione, sono iniziate manovre navali e aeree su larga scala in sei zone che circondano l’isola democratica, dalla quale Pechino rivendica la sovranità.
L’operazione, denominata in codice Joint Sword-2024B, vede impegnati navi da guerra, sottomarini, aerei da combattimento, truppe e batterie di missili, schierati anche nelle acque vicino alle isole di Kinmen e Matsu, a pochi chilometri dalle coste cinesi. Secondo gli analisti, le esercitazioni simulano uno scenario di blocco o “accerchiamento” di Taiwan, in cui le forze cinesi circondano l’isola impendendo l’accesso e l’uscita di navi e aerei dai principali porti, aeroporti e rotte marittime. In uno dei video diffusi dai media statali, si vedono caccia cinesi J-15 decollare dalla portaerei Liaoning, mentre a terra vengono mobilitati i lanciatori dei temuti missili balistici DF-17, gli stessi che secondo gli esperti potrebbero essere usati per attaccare le difese taiwanesi in caso di invasione. La tv di stato Cctv ha descritto le manovre come un “severo avvertimento alle forze separatiste che cospirano per l’indipendenza di Taiwan“.
Cosa vuole la Cina da Taiwan?
Queste esercitazioni, tra le più grandi mai fatte da Pechino intorno all’isola, rappresentano una nuova escalation nelle tensioni tra le due sponde dello Stretto. La Cina considera Taiwan una provincia “ribelle” e non ha mai rinunciato all’uso della forza per riportarla sotto il suo controllo. Negli ultimi anni il presidente Xi Jinping ha intensificato la pressione militare e diplomatica sull’isola, alternando bastone e carota, ovvero minacce di guerra e offerte di dialogo subordinate al riconoscimento del principio di “una sola Cina“. Per Xi, la riunificazione di Taiwan alla madrepatria è un obiettivo “irrinunciabile” per realizzare il “Sogno cinese” di rinascita della nazione, anche a costo di uno scontro con gli Stati Uniti, che pur non riconoscendo formalmente l’isola ne sono il principale alleato militare.
Esercitazioni simili si erano già tenute ad agosto 2022 dopo la visita a Taipei dell’allora speaker della Camera americana Nancy Pelosi e a maggio scorso subito dopo l’insediamento del nuovo presidente taiwanese Lai Ching-te, inviso a Pechino per le sue posizioni indipendentiste.
Il casus belli
L’ultima “provocazione” di Taipei, che ha scatenato un tale dispiegamento di armi cinesi, è arrivata giovedì scorso durante le celebrazioni per la festa nazionale, quando il presidente Lai, del Partito Progressista Democratico (Dpp) di centrosinistra molto critico verso l’ingerenza cinese, ha ribadito nel suo colloquio che la Cina “non ha alcun diritto di rappresentare Taiwan“ e ha invitato Pechino a cooperare per mantenere la pace e la sicurezza nella regione.
Parole che per il governo cinese equivalgono a una dichiarazione unilaterale di indipendenza, la sua linea rossa non negoziabile. Pechino aveva subito condannato il colloquio di Lai definendolo “provocatorio e pericoloso” e aveva risposto annunciando una nuova fase delle esercitazioni militari “Joint Sword” iniziate a maggio dopo l’insediamento del leader taiwanese.