di Claudia Catalli
Ci sono film capaci di contagiare speranza e film che lasciano un senso di sincera amarezza addosso. I secondi, come Takeaway, in genere sono più autoriali, interessanti nella loro ricerca di una verità lontana dalle lusinghe delle storie patinate. Ne è esempio lampante il film di Renzo Carbonera, un racconto complesso sull’altrettanto non facile tema del doping in Italia, raccontato non prendendo in considerazione il campione divo di turno, ma una ragazza talentuosa che proviene da una piccola realtà e vorrebbe coronare il suo sogno di diventare una grande marciatrice.
La incontriamo già nella primissima scena. Maria marcia per strada macinando chilometri e aspirazioni. Arriva fino a una sedia gialla di plastica, dov’è seduto un uomo barbuto con il giornale in mano. E’ Johnny, suo fidanzato e allenatore ambizioso: non pago di una squalifica per doping nove anni prima, cade nello stesso errore trascinando con sé nell’abisso l’innocenza dell’atleta e fidanzata. E’ qui che arriva il primo tuffo al cuore: Johnny è interpretato dal compianto Libero De Rienzo. E’ lui, da attore esperto, a caricarsi sulle spalle tutta l’oscurità di un ruolo complicato e detestabile, a riprova di una carriera fondata su scelte mai ovvie e pertanto spesso azzeccate. Questa volta si cala nei panni del coach manipolatore che insiste a proporre una “molecola nuova di zecca” che costa 10.000 euro ai genitori della sua fidanzata (Paolo Calabresi e Anna Ferruzzo, attori di raro spessore).
Maria è interpretata dalla sempre convincente Carlotta Antonelli, che smesse le vesti sgargianti di Angelica della serie Suburra ritroviamo con un look sportivo minimal intenta a marciare, appunto, tra le nevi del Terminillo. Fa un notevole lavoro sul linguaggio del corpo, non solo a livello di allenamento, ma anche nell’espressione del dolore del rigetto di quella che sente da subito non essere una sostanza adatta a lei (la costosa pasticca del doping). Una scena su tutte la vede contorcersi sofferente in mezzo alla pista: il regista Renzo Carbonera la segue, non risparmiando nulla di quel dolore fisico allo spettatore. A confortarla ci penserà Tom, un Primo Reggiani tinto di biondo alla Gosling di Come un tuono, bravo a interpretare un ex atleta a cui Johnny ha già rovinato carriera e salute causa doping.
E’ un film molto cupo Takeaway, lontano da quel cinema italiano rassicurante e forzatamente antidepressivo che va per la maggiore. Con la sua nebbia costante e l’atmosfera di decadimento morale che permea tutti i personaggi comunica chiaramente che nessuno è innocente fino in fondo. Non l’atleta, non i genitori, non l’allenatore, e neanche chi oggi cerca vendetta per aver ceduto ieri al compromesso. E’ questa probabilmente la nota più interessante di un’opera a suo modo coraggiosa, nel suo non edulcorare nulla raccontando lo squallore del doping così com’è. Riesce in pieno a restituire il senso di inquieta frustrazione propria dei nostri tempi, quell’aggrapparsi a qualunque cosa pur di sognare una svolta per la propria vita.
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www.wired.it
2022-01-19 15:30:00