Lido di Venezia, 2021. E’ settembre ed uno dei più importanti festival del cinema del mondo, sta per avere inizio. Alla cerimonia di apertura non può non mancare lui…capelli brizzolati e occhiali da sole, Pedro Almodovar (classe 1949).
Come sempre è accompagnato dalle sue muse: la già nota Penelope Cruz e la giovane attrice, Milena Smit. I tre stanno per presentare il nuovo film del regista, Madres Paralelas (che uscirà nelle sale italiane il 28 Ottobre).
Ma Venezia e Almodovar non si incontrano per la prima volta. Proprio lì, nel 1999, il regista aveva vinto il leone d’oro per un film entrato nella storia del cinema: Tutto su mia madre, la storia di una donna che dopo aver perso il figlio si ritrova a Barcellona, per comunicare l’accaduto all’ex marito divenuto trans e nel 2019 aveva ricevuto, un secondo leone d’oro ma questa volta alla carriera.
Una vita dedicata al cinema, passata a produrre storie che ritornano su concetti e tematiche molto care al regista:
“31 anni fa, qui a Venezia ho avuto il mio battesimo, selezionato con L’indiscreto fascino del peccato. Piacque al presidente della giuria Sergio Leone e alla giurata Lina Wertmuller ma non vinse nulla, giudicato osceno dal festival diretto all’epoca da Gianluigi Rondi. Mi piace pensare che il Leone alla carriera sia un atto casuale di giustizia poetica, quasi un risarcimento”
Queste le dichiarazioni rilasciate dal regista nel 2019. Lo stesso anno in cui a Cannes presenta Dolor y Gloria, un film che è più simile ad un’autobiografia, in cui la figura della madre viene affidata alle sapienti mani di Penelope Cruz. Una diva a cui qualche anno dopo, le affida la complicata figura di una fotografa (Janis), in procinto di diventare madre e che durante il suo percorso da neomamma ne incontra un’altra (Ana- Milena Smit). Due donne che cominciano a dividere la stanza di un ospedale (e la nascita dei rispettivi figli) fino a legarsi, entrando l’una nella vita dell’altra. Sono due persone dalle vite totalmente diverse che però condividono il fatto di non aver “cercato” la gravidanza. Ma mentre il personaggio della Cruz, che lei stessa ha definito come il più duro della sua carriera, accoglie più o meno positivamente l’accaduto, la giovane ragazza madre, si ritrova in una situazione più grande di lei che non riesce a gestire. La nascita dei figli, il diventare madri, saranno gli eventi che porteranno due rette parallele (le vite delle due donne) ad incontrarsi.
Gli incontri tra vite diverse e l’indagine di esistenze poste al limite sono poi gli elementi base delle narrazioni di Almodovar. Un uomo che si addentra in mondi che lui stesso ha visto da vicino durante la sua vita, quasi come fosse una sorta di analista. Il regista spezza queste esistenze e le ricompone all’interno delle sue pellicole, fino a dare vita ad un collage di sentimenti che vengono analizzati quasi in maniera maniacale.
Quello che Almodovar ci regala in ogni sua opera è una vera e propria filosofia, un modo originale di raccontare i mondi al limite della nostra società che vanno da donne abbandonate, a tutto ciò che riguarda i temi intorno alla questione di genere alla Spagna, sua madrepatria, in un continuo intrecciarsi di storie che si alternano tra presente e passato e tra differenze sociali, economiche e culturali dei vari personaggi.
L’atmosfera del rosso: dare dignità ad una nuova classe di personaggi
Il cinema di Almodovar è ovviamente fatto di attori, di scenografie ricreate, è pur sempre fittizio come tutto ciò che caratterizza la settima arte. Ma come le madri parallele del suo ultimo film, il regista crea un mondo parallelo che seppur frutto di una sceneggiatura creata ad hoc per essere interpretata, è lo specchio di quelle storie prese dalla “strada” del mondo reale. Non è una novità che il cinema prenda spunto dalle storie di persone reali ma la grandezza del regista sta nel trattare quella parte del mondo veritiero che spesso si preferisce ignorare o raccontare con gli occhi di chi non la comprende. Allora, alla storia sentimentale di un trans che una volta era un uomo e che è diventato padre per ben due volte, si preferisce una storia “più accettabile” che non faccia storcere il naso al pubblico. Infine, al mondo degli eroinomani si preferisce raffigurarli per strada, come oggetti di scena di quella stessa scenografia che fa da sfondo a storie più importanti, senza dargli un’identità.
Nel mondo di Almodovar non è così. Il regista mette in primo piano storie che fanno scandalizzare, fatte di passioni e di sentimenti veritieri ma soprattutto, restituisce dignità a queste figure: gli ultimi, gli scarti di una società che non li accetta e che dovrebbe invece imparare a farlo.
E’ così che il suo talento di regista e sceneggiatore, dà vita a dei nuovi protagonisti, occupandosi di trasmettere i sentimenti di questo universo tramite le immagini della Spagna.
Sia gli interni che gli esterni di ogni suo film, sono luoghi dove predomina il rosso. Un colore vivido tipico di quella nazione che da tutti è vista come calda, accogliente e allegra. La macchina da presa di Almodovar, viaggia tra i ritmi di città frenetiche come Madrid e Barcellona e tra quelli più calmi dei paesini della sua infanzia, posti dove il rosso cede il posto al bianco, come è ben evidente nella storia ambientata negli anni 60 narrata in Dolor y Gloria.
Per il resto, il colore della passione è presente in ogni piccolo dettaglio, fino ad inglobare gli attori e a renderli un tutt’uno con l’atmosfera che li circonda. Un ambiente che fa da specchio a quelle stesse narrazioni che a loro volta sono il riflesso di un mondo reale ma solitamente tenuto lontano dai riflettori.
Le narrazioni: dalla figura della madre al mondo del gender.
In questo gioco di specchi tra reale e non i personaggi che rappresentano storie vere si fanno portatori stessi di messaggi e tematiche. Almodovar, nella maggior parte delle sue pellicole, sceglie di inserirli in un contesto cinematografico, mettendo ancora di più in evidenza il parallelismo che intercorre tra cinema e realtà: i suoi protagonisti possono essere attori, membri di compagnie teatrali oppure registi decaduti. Sono loro stessi a produrre arte e a farsi carico dei temi che vengono messi in primo piano nel corso delle storie narrate. Tra le tematiche più centrali della sua carriera, vi è certamente la figura della madre. Quella stessa donna che lo ha partorito e a cui ha dedicato tutti i suoi successi si moltiplica in molte donne, lasciate sole che però nel corso della storia riescono a riscattarsi grazie all’aiuto reciproco. Un mondo femminile quello di Almodovar raccontato con una spiccata sensibilità a cui si affianca quello dell’omosessualità e del transgender.
La stessa figura del padre viene messa in secondo piano o trasformata per far posto a quella delle donne, vere protagoniste delle sue pellicole. La femminilità viene però trasmessa anche da chi si sente donna senza esserlo dalla nascita. E’ qui che la figura del mondo trans subentra diventando nuova protagonista del racconto e affiancando quella della madre. Insieme a lei, il mondo dell’omosessualità ricopre spesso la figura del figlio o figli e dei giovani in generale. Una giovinezza che il più delle volte è proiettata nel passato come nel caso de La Mala Educacion (2004) dove vi è anche la scoperta dell’amore omosessuale, disturbato dalla scomoda presenza della figura cattolica, che fa da sfondo in molte pellicole mentre in altre entra direttamente nella narrazione da antagonista. L’ateismo e l’omosessualità sono elementi molto presenti nella filmografia del regista, affiancati ad altre tematiche come l’AIDS e le droghe sintetiche come l’eroina.
Altro concetto che diventa tratto distintivo del regista è l’identità di genere: molto spesso i personaggi delle sue storie sono persone che non si riconoscono in un genere preciso o che hanno deciso di passare da uno all’altro, alla ricerca della propria persona. Il caso più eclatante in cui viene narrata questa fluidità di genere, è la pellicola che nel 2011 fece scandalo: La pelle che abito dove un chirurgo plastico (Antonio Banderas) è un uomo distrutto in seguito alla scomparsa di sua moglie. L’assenza della figura femminile di questa pellicola viene “risanata” tramite le capacità del protagonista di trasformare un uomo nella donna desiderata, in questo caso quasi come se fosse una sorta di “punizione divina” che però viene applicata dalla scienza e dai rancori di una persona.
Almodovar è certamente un autore che negli anni ha dato vita a molte storie, rimanendo però sempre legato ad immaginari che hanno reso unico il suo cinema, facendolo diventare noto al mondo per la sua sensibilità e capacità di esplorare l’animo umano, dando un volto e una storia anche a quei personaggi scomodi che scandalizzano facilmente.
I numerosi premi vinti negli anni e che ben si distanziano da quell’iniziale rifiuto ricevuto al festival di Rondi, possono far sperare nel cambiamento di una società che ha cominciato a voltarsi verso il mondo degli ultimi e a cui prima dava le spalle.
“A Bette Davis, Gena Rowlands, Romy Schneider… A tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. A mia madre”
(da Tutto su mia madre-1999)
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di Marta Giorgi
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2021-09-20 09:16:46 ,