di Giulio Zoppello
Arnold Schwarzenegger venne letteralmente lanciato nel firmamento cinematografico grazie a questo ruolo. Già un divo del culturismo senza pari, dovette perdere peso (si, pare assurdo ma fu così) in seguito ai durissimi training a cui si sottopose. Da 110 kg a “solamente” 95. E proprio il suo essere connesso ad un’espressività essenzialmente fisica e mimica, ancora oggi rende la sua interpretazione semplicemente perfetta, e Conan un eroe unico nel suo genere. Il cimmero era lontano dalla dimensione romantica o ancora peggio narcisistica di tanti altri eroi muscolari dei nostri giorni. Su tutti Jason Momoa e il suo remake del 2011, qualcosa di cui Crom di sicuro si fa beffe dall’alto della sua montagna.
La carne più forte dell’acciaio
La storia di Conan fin dall’inizio si prefigura come tragica, violenta, segnata dal lutto e dalla schiavitù, dalla necessità di diventare forte non per dominare gli altri, ma semplicemente per sopravvivere, anche solo a quella ruota del dolore a cui viene incatenato fin da bambino.Dietro il suo percorso di presa di coscienza di uno scopo esistenziale da rinnovare giorno dopo giorno, Milius omaggiò la vita di quegli uomini che oggi ricordiamo nei libri di storia come grandi conquistatori o terrificanti guerrieri.
In particolare molti colsero riferimenti biografici al leggendario samurai Miyamoto Musashi, ma soprattutto ai primi anni di Temüjin, meglio noto come Gengis Khan, il conquistatore per eccellenza. Subotai, il suo fidato amico, interpretato dal surfista Gerry Lopez, era del resto il nome di uno dei migliori generali del Khan e sempre di questi era l’iconica frase sul quale fosse il meglio della vita: “schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono e ascoltare i lamenti delle femmine”.
Oggi sentir pronunciare qualcosa del genere in un film o vedere protagonisti così testosteronici, brutali, sanguinari e spietati sarebbe semplicemente impossibile. Conan, Subotai e Valeria, sono separati dalle loro nemesi, da uomini come Rexor e Thorgrim, solo dall’inevitabile lotta per la supremazia, ma tutti loro credono nello stesso codice, tutti loro non hanno paura di morire e venerano l’acciaio. Pure noi ci crediamo, almeno fino a quando il ghigno beffardo e carismatico del grande James Earl Jones, del suo Thulsa Doom, non ci fa capire la realtà, che cosa plasmi veramente il mondo fin dall’alba dei tempi: la volontà umana. Essa conta più di tutto ed egli da Milius fu reso perfettamente complementare a Conan, una sua versione più cosciente in virtù dell’esperienza verso il mondo. In un certo senso sovente apparve come il suo maestro più importante, come spesso lo sono i nostri nemici, capace di fargli comprendere che non conta tanto la lama, ma la mano che la brandisce, l’idea che vi sta dietro. Non sono i meri muscoli a comandare, ma la motivazione, l’idea che sta dietro di essi, il potere che ubbidisce sempre a uomini in grado di soggiogare il cuore dei propri simili, di farsi seguire senza tentennamenti. Qualcosa che avrebbe strappato un sorriso a Nietzsche, e del resto Doom ha molto di un Hitler e un Mao, di uno Stalin e un Napoleone. Un feroce signore che plasma il mondo.
Tra mito e elogio dell’epica
Tutti questi significati, questi temi, ivi compreso quello supremo dell’amicizia virile, per quanto centrali non cambiavano il fatto che il film di Milius era soprattutto un grandioso racconto di sangue ed armi, un omaggio all’eroe nel senso mitologicamente più classico del termine, così come lo intendevano pur differentemente sia Sofocle che Euripide.
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2022-05-14 05:00:00