Potrebbero essere i protagonisti di una serie in stile CSI, Arianna Traviglia e il suo staff del Center for Cultural Heritage Technology (Ccht) di Venezia https://ccht.iit.it/ . Il laboratorio dell’Istituto italiano di tecnologia studia come proteggere il patrimonio culturale, monumenti, opere d’arte e reperti archeologici e aiuta le forze dell’ordine nel contrasto al traffico illegale. È un fenomeno del quale si parla quasi solo in occasione di grandi operazioni dei Carabinieri del nucleo di tutela, ma che come un fiume carsico scava ed erode sotto la superficie. Oggi è la giornata internazionale del contrasto al traffico illegale dei beni culturali https://www.unesco.org/en/days/against-illicit-trafficking, indetta dall’Unesco per sensibilizzare contro il saccheggio, la vendita e l’acquisto di manufatti di pregio storico e artistico. Arianna Traviglia, a capo del Ccht, racconta a Repubblica come il Ccht affianca le forze di polizia nel combattere questa piaga con tecniche di analisi digitale e intelligenza artificiale.
“Il gruppo di lavoro più importante d’Italia”
“Da alcuni anni abbiamo creato quello che possiamo considerare il gruppo di lavoro più largo e importante in Italia e a livello internazionale nell’ambito della tecnologia per il contrasto al traffico di beni culturali – racconta Traviglia – con una serie di progetti interni e finanziati da altri enti. L’obiettivo è riconoscere le attività illecite che avvengono sul campo, come quelle dei “tombaroli” o più in generale di scavi clandestini. E poi online, una volta che monete, statue, ceramiche o dipinti vengono messi sul mercato. L’archeologa dell’IIT spiega che il loro ruolo non è fare indagini, tuttavia la collaborazione con le forze di polizia serve già ora. E in futuro fornirà strumenti per le inchieste sui traffici illeciti. Uno di questi è partito un mese fa: Rithms, finanziato con cinque milioni dalla Commissione europea, vede il Ccht alla guida di 20 partner internazionali, tra cui sette tra polizie e corpi di frontiera di Paesi europei ed extra europei.
I network del traffico
Rithms, acronimo di Research intelligence and technology for heritage and market security, ha lo scopo di disegnare mappe di connessioni criminali online i cui nodi sono i trafficanti, gli acquirenti e i mercati in cui i beni vengono messi in vendita, una piattaforma informatica che sfrutta l’intelligenza artificiale: “Utilizziamo i dati presenti su Internet o altri database per creare informazioni di intelligence per supportare le polizie, su come interagiscono, attraverso le foto postate sui social network dalle persone implicate da vicino o da lontano al traffico di certi beni” spiega l’archeologa.
Tiene a precisare che non si tratta di uno strumento investigativo, ma un progetto per svilupparne uno da affidare poi alle polizie di diversi Paesi per scovare reti di traffico criminale. “Riceviamo informazioni da persone all’interno di questi gruppi chiusi che ci inviano le immagini dei beni messi in vendita. Ma nello sviluppo della piattaforma useremo casi già conclusi in modo da non inserirci in filone delle indagini. Casi chiusi per creare sistema informatico”. Il gruppo di Traviglia ottiene così materiale per addestrare l’intelligenza artificiale a riconoscere le connessioni online.
La collaborazione con i Carabinieri
La collaborazione con i Carabinieri italiani si attua anche con un accordo firmato di recente per la segnalazione di siti potenzialmente spoliati, o analisi di materiali da sequestri di opere, che possono in questo caso essere portate in tribunale come prova della provenienza, dell’autenticità, o anche di contraffazione. Una buona fetta dei sequestri riguarda, infatti, proprio il mercato dei falsi. La stima economica delle “patacche” sequestrate dai Carabinieri nel 2021 è di quasi 430 milioni di euro (“qualora immessi sul mercato quali autentici”). Tre volte il valore di tutti gli altri sequestri.
Un Grande fratello dei traffici illeciti
Nel Centro che ha sede a Venezia gli esperti, una dozzina in tutto, lavorano mettendo insieme le competenze in discipline diverse, coinvolgendo anche gli studenti. Uno dei progetti in corso riguarda il riconoscimento e l’identificazione degli oggetti messi in vendita, tenendo d’occhio, di nuovo, i gruppi sui social network e le aste online. Un compito che integra il progetto Rithms ma che ha già segnalato alle polizie investigative, in particolare Carabinieri e Interpol, oggetti e situazioni sospette.
Per ora ci si affida agli esperti che sanno riconoscere un manufatto di indubbia antichità e provenienza illecita: “Useremo presto anche l’intelligenza artificiale per riconoscere oggetti rubati, deve essere sviluppata osservando cosa c’è nei database dei paesi mondiali che sono solo in parte pubblici, per trovare analogie in rete. È molto complesso e ci vorranno anni. Poi ci sono tutta una serie di oggetti che hanno la cosiddetta red flag, per dire ‘attenzione: se incontrate sul mercato un oggetto che ha questa specificità, può avere solo quella provenienza’. Abbiamo esempi in Italia, dall’Etruria, di oggetti che sono identificabili addirittura a livello di villaggio, perché hanno una tale specificità che possono provenire solo da quella zona e non da altre”.
Italia il ‘paradiso’ dei tombaroli
L’Italia è il Paese che possiede il più grande patrimonio culturale materiale del mondo, molto del quale è ancora sepolto. Anche per questo è tra i più colpiti dal traffico di beni sottratti di frodo, basta scavare. Non a caso, nell’ultimo rapporto del nucleo Tutela beni culturali dei Carabinieri https://www.beniculturali.it/comunicato/23137, la categoria di oggetti recuperati più numerosa è proprio quella dei reperti archeologici: 23.441. Tra gli quelli più trafficati e richiesti, appetibili per il mercato, Traviglia cita “esemplari da museo, dal valore anche di milioni di euro”: monete, statue e gioielli, e in particolare i reperti dalla Magna Grecia, quindi dal Sud Italia, come i vasi a figure nere o rosse.
Un “successo” iniziato dal caso del “Cratere di Eufronio” https://roma.repubblica.it/cronaca/2014/12/18/news/dopo_40_anni_torna_a_cerveteri_il_cratere_di_eufronio-103229326/ , frutto del saccheggio di una tomba etrusca a Cerveteri ed esportato illegalmente negli Usa all’inizio degli anni ‘70, poi venduto per un milione di dollari al Metropolitan Museum di New York: “Fu la pietra dello scandalo, che ha portato alle indagini degli anni ‘90 – ricorda – e alla restituzione da parte del Metropolitan. Ma è riconosciuto anche come il momento in cui i tombaroli italiani si sono resi conto di quello che avevano sotto i piedi e si sono scatenati alla ricerca di oggetti di quel tipo”.
Lo studio ‘tecnico’ su casi che emergono in rete può portare a una segnalazione, quando salti all’occhio, umano o della macchina, un caso recente che può essere un alert, per i Carabinieri o per l’Interpol: “A volte rimaniamo a bocca aperta vedendo foto o video dello scavo clandestino di una tomba aperta in Egitto, pubblicato per dimostrare che un oggetto è stato effettivamente trovato in quel punto, che è autentico, perché circola tanto falso. È davvero pazzesco che arrivino a questo”.
https://www.repubblica.it/cultura/2022/08/12/news/le_opere_darte_mai_restituite_allitalia_dallatleta_di_fano_a_orfeo_e_le_sirene-361457954/
I Paesi più attenzionati sono quelli dai quali possono provenire i manufatti, l’Italia è tra questi ma è anche, fa presente Traviglia, uno dei Paesi di transito di opere che poi finiscono nei mercati dove ci sono leggi più permissive “principalmente Olanda, Svizzera e Inghilterra, per poi finire magari verso gli Stati Uniti, la Russia o l’Arabia. Le collezioni non perdono mai di valore”. Un fenomeno che ha dato vita a inchieste internazionali per riportare in Italia opere trafugate, scomparse e poi riapparse oltreoceano. Non solo in ville private per l’esclusivo godimento di pochi miliardari: “C’erano queste collezioni pazzesche del Getty o del Metropolitan, musei che erano in contatto con tombaroli italiani – ricorda l’archeologa – grazie ai procuratori Ferri e Muntoni sono tornate a abitazione. E poi c’è stato il lavoro di Francesco Rutelli che con la diplomazia culturale ha agevolato il ritorno offrendo in cambio, per esempio, prestiti a lungo termine di opere importanti ma che giacevano nei magazzini. Ma ci sono liste lunghissime di materiali di cui i Carabinieri hanno provato la provenienza”. Tra questi, uno degli esempi più eclatanti, è l’Atleta di Fano https://www.repubblica.it/cronaca/2018/12/04/news/atleta_vittorioso_di_lisippo_cassazione_la_statua_torni_in_italia_-213382473/, attribuito a Lisippo, o comunque alla sua scuola, pescato nell’Adriatico e finito proprio al Getty. Il museo californiano rifiuta di restituirlo sostenendo che sia stato pescato in acque internazionali.
Lo scempio visto da satellite
In Italia li chiamiamo genericamente tombaroli, in realtà scavano dappertutto. Sanno dove cercano e poi fuggono lasciandosi dietro le cicatrici dello scempio. Anche qui il Ccht mette in campo l’IA con un altro progetto co-finanziato dall’Agenzia spaziale europea (Esa). L’idea di base è semplice: capire dove ci sono anomalie, nuovi scavi, potenzialmente in tutto il mondo, perché i satelliti scansionano il globo intero: “Fanno buchi qua e là e poi se ne vanno in fretta senza ricoprirli, agiscono in campagna, lontano dai centri, o in aree remote della Siria o dell’Iraq, per esempio. I miliziani dell’Isis distruggevano in favore di camera le vestigia degli ‘infedeli’ ma poi immettevano il resto nel mercato clandestino per finanziarsi. Noi Usiamo le piattaforme Copernicus per cercare nelle immagini satellitari la presenza di siti sottoposti a looting, scavo clandestino – spiega Traviglia – e sviluppiamo nuovi metodi di intelligenza artificiale per far sì che il sistema riconosca nuovi scavi creati dai tombaroli, per creare sistema di allerta per forze di polizia. Stiamo lavorando, con un ulteriore progetto, con strumenti laser su piattaforme aree e droni, che possono vedere anche sotto la vegetazione”.
https://www.repubblica.it/scienze/2021/03/30/news/l_occhio_del_satellite_archeologo_scopre_le_tracce_del_passato-300856344/
Anche in questo caso, si tratta di allenare la macchina, dandole in pasto immagini d’archivio affinché impari a riconoscere i luoghi in cui si è scavato illegalmente da altre operazioni magari lecite, come lo scavo di una piscina o dei semplici lavori in corso. Nel team del Centro di Venezia ci sono esperti di analisi di immagini satellitari, tra questi, la stessa Traviglia, che ha già condotto studi per trovare dallo spazio possibili siti di interesse archeologico nel sottosuolo: “Lavoriamo a stretto contatto con team di competenza teorica, come Art crime project https://www.artcrimeproject.org/, mentre le immagini satellitari sono di competenze interne al gruppo – sottolinea – i tombaroli di solito sono persone del posto, locali, che parlano con il contadino per sapere se in qualche punto di un campo emergono frammenti di ceramiche o laterizi durante l’aratura. Usano lunghi spilli metallici per sentire se c’è resistenza o un vuoto, per capire se sotto c’è qualcosa. Succede nelle zone delle necropoli etrusche, non vanno a caso. In certe situazioni scavano per recuperare monetine segnalate dal metaldetector, in altri distruggono contesti di necropoli con perdite gigantesche. In un caso, a Pompei, qualcuno aveva scavato un tunnel che portava proprio sotto a una domus”.
https://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/05/11/foto/pompei_le_eccezionali_immagini_dei_cunicoli_dei_tombaroli_a_laser_scanner-196084604/1/
Un problema culturale
“Faremo comunicazione al pubblico per attirare l’attenzione su questo che è un problema ancora poco noto – riflette infine Traviglia – molta gente pensa che siccome una statuetta etrusca si trova online su siti, aste o in gruppi su social media mainstream, sia possibile acquistarla tranquillamente. Bisogna far presente che esiste però anche il reato di incauto acquisto”. E la spettacolarizzazione di un certo tipo di pratiche, come quella della ricerca con il metaldetector, che non rende un buon servizio: “Ci sono trasmissioni televisive con appassionati di metal detector che mostrano quelli che sono a tutti gli effetti scavi clandestini. Tutto ciò che si trova nel sottosuolo appartiene allo Stato. Queste persone quindi, quando estraggono oggetti di interesse storico artistico, intercettano il patrimonio culturale. In questo caso si alimentano comportamenti sbagliati”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-11-14 08:40:19 ,www.repubblica.it