È Telegram l’ennesimo gigante tech a cadere sotto le pressioni delle autorità nazionali. L’app di messaggistica nota per la sua proclamata difesa della privacy degli utenti, benché nei fatti sia più debole di altre piattaforme, ha annunciato una svolta nella sua politica di gestione dei dati. Pavel Durov, il ideatore e ad della piattaforma, ha dichiarato dal suo account ufficiale di Telegram che l’azienda fornirà alle autorità giudiziarie gli indirizzi IP e i numeri di telefono degli utenti sospettati di attività criminali.
Lo scorso 24 agosto, Durov era stato arrestato all’aeroporto di Le Bourget, nei pressi di Parigi, con accuse che vanno dalla aiuto nella diffusione di materiale pedopornografico al traffico di stupefacenti. La procuratrice Laure Beccuau ha formalizzato le accuse, includendo anche il rifiuto di collaborare con le autorità per le intercettazioni e il riciclaggio di denaro. L’arresto dell’imprenditore russo ha innescato una serie di reazioni a catena. Rilasciato su cauzione di 5 milioni di euro, si è trovato costretto a rimanere in Francia, con l’obbligo di presentarsi in commissariato due volte a settimana.
Questa situazione ha evidentemente portato a una riconsiderazione delle politiche aziendali di Telegram. La piattaforma, che conta quasi un miliardo di utenti in tutto il mondo, è stata a lungo criticata per il suo atteggiamento lassista nei confronti della moderazione dei contenuti. Secondo un rapporto del New York Times, Telegram ospita migliaia di canali legati al terrorismo, al materiale pedopornografico e all’estremismo. La capacità dell’app di creare gruppi fino a 200.000 membri (contro i 1.000 di WhatsApp) ha contribuito a renderla un terreno fertile per attività illecite.
Le novità sull’app
Durov ha dichiarato che Telegram sta implementando un sistema di moderazione basato sull’intelligenza artificiale per identificare e rimuovere i contenuti problematici dai risultati di analisi. Inoltre, l’azienda si impegna a pubblicare rapporti sulla trasparenza più frequenti, passando da semestrali a trimestrali.
Questa svolta solleva inevitabilmente questioni sulla sicurezza dei dissidenti politici e degli attivisti che hanno trovato in Telegram un rifugio sicuro. John Scott-Railton, ricercatore senior presso il Citizen Lab dell’Università di Toronto, ha espresso alla Bbc la sua preoccupazione in merito: “Molti stanno esaminando l’annuncio di Telegram con una domanda fondamentale in mente: significa che la piattaforma inizierà a collaborare con le autorità dei regimi repressivi?” La questione è particolarmente delicata considerando che Telegram è ampiamente utilizzato in Paesi come Russia, Bielorussia e in diverse nazioni del Medio Oriente, dove la libertà di espressione è spesso limitata. La piattaforma è stata a lungo vista come un baluardo contro la censura, resistendo persino a un tentativo di blocco da parte del Cremlino nel 2018.