The Menu: una critica sincera al mondo dell’alta cucina ma poco efficace
“Voi, miei cari ospiti, non siete persone comuni, dico bene? Ciò che accade dentro questa sala è insignificante rispetto a ciò che accade all’esterno. Noi non siamo altro che un nanosecondo di terrore. La natura è senza tempo.”
Queste sono le parole emblematiche che pronuncia lo chef all’inizio della cena, dando vita ad una pièce cinematografica feroce e paradossale.
The Menu è il film di Mark Mylod uscito nelle sale a dicembre di quest’anno, che tratta un tema tanto attuale quanto sdoganato: l’alta cucina.
Si evince in tutti i dialoghi e nelle caratterizzazione dei personaggi una satira grottesca e sfacciata di questo mondo.
Eccellenze culinarie
Le riprese dei cibi vogliono scimmiottare la regia di Chef’s Table, la docuserie di Netflix, che racconta le storie affascinanti di importanti chef mondiali, i quali, grazie alla passione e al desiderio di eccellere nella tecnica o nella ricerca del gusto sono diventati i simboli di determinati tipologie di cucina.
Talvolta si percepisce in loro una sorta di ossessione nello studio di un menu originale e al tempo stesso completo, nella ricercatezza delle materie prime, nell’accuratezza dei dettagli, non solo dei piatti ma anche della sala, ed è proprio questo aspetto che il regista vuole evidenziare.
La follia che si genera dall’eccessivo e disperato attaccamento di taluni chef al proprio lavoro e soprattutto al prodotto finale. Ma anche l’entourage che si genera attorno: giovani aspiranti chef che sognano questo tipo di carriera, amanti del cibo ricercato, persone che ne idealizzano i piatti, critici enogastronomici pronti a tutto pur di stroncarne o elogiarne gli accostamenti, ecc.
Una realtà che diventa fuorviante per i giovanissimi che ormai sognano di dirigere un proprio ristorante stellato, ma che sono, invece, costretti a fare una bestiale gavetta in cucine di alto livello, tra i ritmi di lavoro serrati e alienanti, la competizione con i colleghi e la rigidità dei rapporti umani.
In questo contesto distorto si inserisce la critica aspra e disperata di Mark Mylod, che porta al cinema una dark comedy in cui non si ride mai ma si attende l’attimo in cui tutto verrà detonato.
Qualcosa è andato storto
Lo chef stellato Slowik invita ad una cena speciale nel suo ristorante, situato su un’isola sperduta, alcune persone di rilievo tra cui un attore famoso ormai in decadenza, una brillante critica gastronomica, un trio di imprenditori tecnologici, una coppia di anziani benestanti e, infine, Margot e Tyler.
Questi ultimi sono i protagonisti della narrazione, due personalità agli antipodi: lui ossessionato dall’alta cucina e pronto a tutto pur di intraprendere il percorso esperienziale proposto dallo chef; lei disinteressata e lucida nei confronti dell’opaca realtà culinaria che la circonda.
La metafora del film è evidente ma non colpisce il cuore dello spettatore, che anzi rimane incastrato sui particolari più macabri e scenici, come ad esempio l’annegamento del proprietario dell’isola, appeso ad un filo con le ali d’angelo.
Assistiamo ad una escalation di eventi folli e violenti, in cui tutti coloro che lavorano per lo chef (a partire dalla sua fidata maître di sala) diventano dei martiri che scelgono di immolare la propria vita in nome di una cucina eccelsa, di un atto di rivoluzione.
Come si trattasse di una performance estrema che ha il suo culmine con la morte.
Tuttavia la critica alle cucine stellate e agli ambienti elitari che ne fruiscono non è incisiva, sarebbe stato più efficace affrontare l’argomento in maniera drammatica e meno grottesca.
Un’idea acuta e originale che poteva essere gestita meglio, con un tono serio e analitico, senza l’inserimento delle scene splatter che strizzano l’occhio alla massa.
Le stelle dell’alta cucina
Nella cultura occidentale odierna la figura dello chef ha assunto un grande rilievo, diventando una figura di grande tendenza.
Il palinsesto televisivo ha assistito, negli ultimi anni, ad un infarcimento di programmi di cucina che hanno consacrato come idoli, di adulti e bambini, moltissimi cuochi provenienti da tutto il mondo.
Si vedano Gordon Ramsay, Jamie Oliver oppure Carlo Cracco, tutte star dell’alta ristorazione e dell’intrattenimento.
Ma anche la sempre crescente volontà di rendere ogni momento della vita quotidiana qualcosa di esteticamente piacevole ed instagrammabile, ha generato il culto dell’esperienza culinaria di alta qualità.
Il cibo, anche il più semplice, deve essere quindi scomposto, emulsionato, sferificato ma anche mantecato e lardellato.
Ormai i termini tecnici del settore sono sulla bocca di tutti, spesso utilizzati in maniera impropria!
Le cucine a vista sono il simbolo più effimero di questa attitudine che tende a rendere l’universo gastronomico più una performance artistica che un gesto quotidiano e indispensabile per la sopravvivenza.
Con questo non stiamo dicendo che sia sbagliato rendere una pietanza non solo buona ma anche attraente, ricercata, elegante e bilanciata.
Anzi è straordinario il lavoro svolto da molti professionisti del settore che hanno saputo innovare la cucina, facendo conoscere a tutti nuovi sapori, con arditi accostamenti e complesse preparazioni.
Bisogna però saper mantenere il giusto equilibrio e non eccedere in idolatrie sfrenate e destabilizzanti: il cibo deve ritrovare la sua essenza.
In The Menu, infatti, sarà proprio Margot, dopo tante peripezie, la sola a salvarsi dalla tragedia poiché l’unica persona in grado di non assoggettarsi alla mentalità comune e di concepire il cibo in maniera sana, senza cadere nelle trappole modaiole.
The Menu: una critica sincera al mondo dell’alta cucina ma poco efficace
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di Veronica Cirigliano
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2022-12-13 12:14:52 ,