di Paolo Armelli
Viene da chiedersi però, fin dalle primissime immagini, quale sarebbe stato il nostro giudizio su Tiger King se l’avessimo visto in una situazione sociale e sanitaria ordinaria. La sua popolarità, complice la noia di giorni sempre uguali, ha assunto dimensioni senza senso, forse offuscando anche molte delle problematicità che sono emerse soprattuto a posteriori: perché se è vero che questo rimane un documento estremamente affascinante di come alcune storie, soprattutto americane, possano essere come si dice larger than life, dall’altra il successo inaspettato che ne è conseguito ha anche glorificato esistenze tossiche, come non avremmo esitato a definirle in altri frangenti.
Il primo episodio di questa seconda stagione, del resto, passa molto tempo a sottolineare come molti degli aspetti della personalità bordeline di Joe Exotic siano frutto di una vita segnata dai traumi (i comportamenti abusivi del padre, la morte per cancro dell’amato Brian ecc.). Certo, non ci si risparmia di raccontare gli eccessi megalomani dello stesso Joe, pronto a tutto pur di mettersi al centro della scena, eppure la volontà di rinforzare in tutto e per tutto il personaggio c’è. Colpisce poi come sia trattata invece la figura di Carole Baskin che, per stessa ammissione dei produttori della docuserie, dopo la prima stagione ha subito una violentissima ondata d’odio, per molti motivata semplicemente da misoginia (leggi: lei la donna assurda e pedante contro l’uomo carismatico e vittima delle avversità). Ma non solo: le allusioni alla misteriosa scomparsa del marito Don, di cui Exotic la accusa, sono bastate affinché il popolo del web la giudicasse colpevole di omicidio senza possibilità di scampo.
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www.wired.it
2021-11-17 15:30:00