L’ex ministro della Giustizia torna a lavoro dopo lo stop alla terza candidatura del M5S. Ora «Alfie» ha aperto uno studio anche a Milano: le parcelle non sono più quelle di quando difendeva i No tav
«Torno a fare l’avvocato». Si è preso tre giorni Alfonso Bonafede, per diluire l’amarezza sfogata in privato e ponderare bene ogni parola. Ma l’ex ministro della Giustizia, una delle colonne del grillismo primigenio, avrà ancora bisogno di tempo per digerire l’esclusione dalla corsa per il prossimo Parlamento dopo lo stop di Grillo al terzo mandato.
«Alfie», così lo chiama chi ha più confidenza, in un lungo post su Facebook l’ha però presa larga: «Non ho mai chiesto a Beppe o Giuseppe alcuna deroga», per poi aggiungere «senza alcuna ipocrisia, dico che se mi fosse stato chiesto di ricandidarmi, avrei preso in considerazione la possibilità». Bonafede è uno dei tanti big «esodati» dal Movimento: «Penso sinceramente che si possa fare buona politica sia dentro che fuori dai palazzi. Non c’è nessuna novità». In verità, da tempo, «Alfie» aveva fiutato che «Beppe» faceva sul serio. E non a caso, nei mesi scorsi aveva investito molte risorse (umane ed economiche) nel potenziamento del suo omonimo studio legale, aprendo una sede anche nel cuore di Milano, con la moglie Valeria Pegazzano e con le parcelle che da ex Guardasigilli non sono certo più le stesse dello storico mini studio fiorentino. Eppure sembra ieri quando un giovane Bonafede da Mazara del Vallo, con un passato in discoteca come «Dj Fofò»
e da poco diventato avvocato dopo la laurea in Legge a Firenze, arringava sul palco i No Tav in lotta contro il passante dell’Alta velocità sotto il capoluogo toscano. È qui, nel 2007, che inizia la sua scalata politica: acquisisce molti clienti per far ricevere loro i dovuti indennizzi per disagi del maxi cantiere (poi mai partito davvero). La battaglia anti Tav è la benzina migliore per l’attività degli Amici di Beppe Grillo. Nel 2009 corre da sindaco di Firenze, prende l’1,8%, ma si rifà nel 2013, eletto in Parlamento.
Il futuro Guardasigilli è scaltro, piuttosto vicino a Grillo e riesce a farsi apprezzare. Ma il vero colpo politico, croce e delizia, lo mette a segno durante la campagna elettorale del 2018. È infatti Bonafede, durante lo scouting per i posti di governo di cui i grillini si apprestavano a fare incetta, che presenta Giuseppe Conte a Luigi Di Maio come possibile ministro della Pubblica amministrazione
. Conte, ai tempi, è un illustre sconosciuto, ma «Alfie» ne era stato assistente a titolo gratuito, appunto all’Università di Firenze dove Conte ha la cattedra di ordinario di Diritto privato. Il resto, prima che esplodesse la pandemia, è storia recente, perché su quel profilo tecnico-accademico cadrà la scelta da premier per risolvere l’impasse che darà vita all’inedito governo «gialloverde». E quello di essere stato lo «scopritore» di Conte è un particolare non da poco, che ha alimentato l’amarezza di Bonafede, oltre a quella dei tanti altri big esclusi.
«Alfie», però, adesso che è giunta l’ora di voltare pagina continua ad andare particolarmente orgoglioso dell’inasprimento delle pene grazie alla sua «legge Spazzacorrotti», poi marcatamente rivista dalla riforma Cartabia: «Per il rispetto del lavoro che ho portato avanti, non intendo entrare nella logica del “ritorno tra i cittadini” — scrive Bonafede —, perché posso dire ad alta voce che non mi sono mai allontanato da loro… anzi, ho portato all’approvazione le “mie” leggi sulla giustizia soltanto grazie al sostegno di tanti cittadini». Quello di Bonafede, ben accorto alle parole in pubblico, almeno per ora non è un addio al M5S e lascia una porta aperta: «Un domani, se il capo politico e il garante dovranno o vorranno riflettere, legittimamente, sulla modifica di qualche regola che necessita del permesso del garante, potranno tranquillamente riunirsi tra di loro e risolvere velocemente la questione».
31 luglio 2022 (modifica il 31 luglio 2022 | 21:58)
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Claudio Bozza , 2022-07-31 17:57:43 ,