AGI – Russia e Ucraina si fronteggiano, da anni, anche sul piano religioso: il Patriarca di Mosca Kirill (legato a doppio filo con Vladimir Putin) e il metropolita di Kiev Epifanyj sono i protagonisti di una disfida che da tempo ha travalicato i confini dei due Paesi.
Il cosiddetto “scisma ucraino” è nato con la fondazione della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, il 15 dicembre 2018 nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev, attraverso un “Concilio di riunificazione” tra il Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Un Concilio promesso, voluto e fortemente sostenuto dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Il Tomos, il decreto di concessione dell’autocefalia, è stato consegnato al Primate della nuova Chiesa il 6 gennaio 2019 dal Patriarca ecumenico Bartolomeo, in quello che è stato il primo riconoscimento ufficiale all’autocefala Chiesa ortodossa ucraina. A seguire hanno dato l’assenso allo scisma anche gli ortodossi greci, di Alessandria d’Egitto e quelli ciprioti. Ad appoggiare la separazione sono stati anche georgiani e bulgari.
Ovviamente Mosca non è rimasta a guardare: nei giorni precedenti il “Concilio” di Santa Sofia, il patriarca Kirill aveva inviato una lettera-appello ai leader delle Chiese cristiane, compreso Papa Francesco, ai governi di Francia e Germania e all’Onu per denunciare la “palese” interferenza dello Stato ucraino e chiedere, alla luce di una lunghissima serie di violazioni e discriminazioni compiute ai danni di sacerdoti e vescovi, il rispetto della libertà religiosa e di coscienza nel Paese.
Kirill aveva parlato di “accuse infondate” di “alto tradimento” e “incitamento all’odio religioso”, di “interrogatori da parte del servizio di sicurezza dell’Ucraina” e, persino, di “perquisizioni nelle case private dei sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina nelle città di Zhytomir, Ovruch e Korosten”.
Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ha definito la nuova Chiesa un “conciliabolo” che sarà “cancellato come paglia al vento dalla memoria della storia”. La frattura appare incolmabile anche e, naturalmente, con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
“Guerra” già annunciata nell’ottobre precedente la costituzione del “Concilio”. I membri del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa riuniti in seduta straordinaria a Minsk, in Bielorussia, annunciano di ritenere “impossibile continuare a essere in comunione eucaristica con il Patriarcato di Costantinopoli”. I
n seguito allo scisma, disse in seguito il metropolita Hilarion, il Patriarcato di Mosca non parteciperà più “a nessuna Commissione presieduta o co-presieduta dal Patriarca di Costantinopoli” e a “nessun dialogo teologico nel quale sono presenti rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli che presiedono o
co-presiedono”.
Gli effetti del conflitto intra-ortodosso sono registrati dalla Santa Sede. Nonostante abbia mantenuto una posizione di assoluta neutralità sulla questione dell’autocefalia ucraina, è evidente il delicato equilibrio esistente tra il Vaticano e la Chiesa ortodossa.
Papa Francesco, dalla sua elezione, ha sempre operato per ristabilire la piena comunione tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Fin dal primo storico incontro nel 2016 con il Patriarca di Mosca Kirill all’aeroporto dell’Avana, a Cuba. E nei vari viaggi apostolici non sono mancati gli incontri con i “fratelli” ortodossi nei quali aveva sempre rinnovato un invito all’unità e a mettere da parte i vecchi rancori.
Ora il conflitto in Ucraina, oltre alle drammatiche conseguenze sul piano umanitario, rischia di avvelenare i rapporti nel mondo ortodosso e di scatenare una guerra di religione dagli esiti imprevedibili.
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Eliana Ruggiero , 2022-03-23 05:36:45
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