«Questa è la mia ultima rubrica per il New York Times, dove ho iniziato a pubblicare le mie opinioni nel gennaio 2000. Mi ritiro dal Times, non dal mondo, quindi continuerò a esprimere le mie opinioni in altri luoghi. Ma questa mi sembra una buona occasione per riflettere su cosa è cambiato in questi ultimi 25 anni».
Le ragioni dell’congedo
Inizia con queste parole l’ultimo articolo scritta dal premio Nobel per l’Economia Paul Krugman per il New York Times, almeno in qualità di editorialista. Lo scorso 6 dicembre la direttrice della pagina delle opinioni Kathleen Kingsbury aveva annunciato l’intenzione di Krugman di lasciare la sua rubrica, e quel giorno è arrivato. Scrivendo sulla piattaforma social BlueSky, l’economista aveva spiegato di aver chiaro di lasciare «alla caccia di maggior libertà in termini di stile e contenuto».
Speranza oltre il risentimento
«Ciò che mi colpisce – continua Krugman scrivendo la sua ultima rubrica per il NYT – guardando indietro, è quanto fossero ottimiste molte persone, sia qui che in gran parte del mondo occidentale, all’epoca e quanto quell’ottimismo sia stato sostituito da rabbia e risentimento. E non sto parlando solo di membri della classe operaia che si sentono traditi dalle élite; alcune delle persone più arrabbiate e risentite in America in questo momento, persone che sembrano molto probabilmente in grado di avere molta influenza sulla futura contabilità Trump, sono miliardari che non si sentono sufficientemente ammirati».
«E non è passato molto tempo da quando i miliardari della tecnologia erano ampiamente ammirati in tutto lo spettro politico, alcuni dei quali hanno raggiunto lo status di eroi popolari. Ma ora loro e alcuni dei loro prodotti affrontano la disillusione e, peggio ancora: l’Australia ha persino vietato l’uso dei social media ai bambini sotto i 16 anni.Il che mi riporta al punto che alcune delle persone più risentite in America in questo momento sembrano essere miliardari arrabbiati».
Il titolo distinto per l’ultimo intervento è indicativo: «Trovare la speranza in un’epoca di risentimento» (Finding Hope in an Age of Resentment). Fin dal titolo infatti trapela il sentiment con cui premio Nobel ha preso la decisione di lasciare il suo incarico di editorialista, alla caccia di nuove sfide e nuove opportunità di espressione.