«Il Dipartimento della Giustizia e Joe il Disonesto, nella loro illegale e incostituzionale incursione a Mar-A-Lago, autorizzarono l’uso di forza letale (mortale). Ora sappiamo, per certo, che Joe Biden è una seria minaccia per la democrazia». Così recita il messaggio di Donald Trump su Truth Social, la piattaforma di microblogging creata dall’ex presidente dopo la sua espulsione da Twitter. Peraltro senza successo, se si considera che la recente trimestrale mostrava perdite per 327 milioni di dollari. Ma il punto non è l’insuccesso commerciale, quanto che Trump normalizzi l’idea che un candidato voglia far uccidere l’altro. Un’ipotesi irreale sul piano concreto, ma comunque pericolosa da evocare in un Paese che il processo di New York sui fondi alla pornostar Stormy Daniels ha spaccato ancora di più.
L’innalzarsi della retorica trumpiana si può probabilmente legare alla percezione del cattivo andamento del processo, al quale mancano ormai solo le arringhe conclusive, oppure alla necessità di contrastare l’immagine di confusione creata dai 30 secondi di silenzio per il guasto al “gobbo” durante un comizio. Sta di fatto che tra richiami espliciti a Hitler (due giorni fa la sua campagna ha pubblicato un video che prometteva «un Reich unito», ritirato dopo aver scatenato un putiferio), dichiarazioni minacciose di politici MAGA fuori dal tribunale e accuse di volerlo deceduto, la retorica elettorale è tornata a scaldarsi. Di molto.
In realtà, non è la prima volta che nella noiosa campagna elettorale 2024 si affaccia l’idea di un presidente che fa uccidere il proprio avversario-candidato. Il discorso sull’assassinio era stato sdoganato – si badi, a favore di Trump – il 9 gennaio scorso, davanti alla Corte d’appello federale di Washington chiamata a decidere se l’ex presidente potesse essere processato per il suo ruolo nell’assalto al Campidoglio del 2021. Per la procura la risposta era ovviamente sì, mentre la difesa sosteneva di no: qualsiasi cosa Trump avesse fatto era un «atto ufficiale» protetto dall’immunità.
In uno dei più surreali botta e risposta giuridici di tutti i tempi, la giudice Florence Pan pose ai difensori «una domanda secca: sì o no. Potrebbe un presidente che ordinasse alla Squadra 6 dei Navy Seal di uccidere un rivale politico, non assoggettato a impeachment, essere perseguibile penalmente?». «Dopo essere stato sottoposto a impeachment e trovato colpevole», rispose il difensore John Sauer. «Quindi la sua risposta è no», ribatteva la giudice. «La mia risposta è un sì con distinguo… immagino che impeachment e condanna sarebbero molto rapidi». Secondo il legale di Trump, l’assassinio di un rivale non sarebbe dunque reato in sé, ma solo se ritenuto tale in sede politica. Una prospettiva «terrificante», ribatté James Pearce per l’accusa. «Voglio dire, ma in che razza di mondo viviamo? Se, come mi sembra abbia qui detto il collega per la controparte, un presidente dovesse ordinare ai Seal di uccidere un rivale ma si dimettesse prima dell’impeachment, non avrebbe commesso alcun reato. Mi sembra un futuro assolutamente terrificante».
Paradossalmente, se la Corte Suprema, alla quale l’ex presidente ha fatto ricorso ma che deve ancora fissare l’appello, dovesse concordare con la tesi della retorica di Trump, ne deriverebbe per assurdo che Biden potrebbe farlo uccidere per difendere la Costituzione che il repubblicano ha più volte detto di voler sospendere. Per fortuna, la situazione non è ancora a questo punto, soprattutto perché Biden ha deciso di proiettare forza attraverso strade più convenzionali, in primo luogo i dibattiti televisivi. La doppia sfida «anytime, anywhere» (“dove e quando vuoi”), condita di citazioni («make my day», la battuta più celebre dell’ispettore Callaghan, mal tradotta in italiano con “coraggio fatti ammazzare”), è una scommessa sull’incapacità di Trump di reggere il botta e risposta. Se Trump perdesse colpi come nei comizi – dove è giunto a confondere il presidente Jimmy Carter con il tennista Jimmy Connors – chi accusa Biden di essere vecchio si troverebbe in mano un’arma spuntata.