Il mio primo incontro con Donald Trump è arrivato sullo schermo della mia tv. Era il 1994, e avvenne in un episodio di Willy, il principe di Bel-Air, la popolare sitcom con Will Smith. Anche se non c’era nulla di particolarmente memorabile nell’episodio o nell’apparizione di Trump – che interpretava una versione relativamente addomesticata di se stesso – per gran parte della fase iniziale della mia vita è stato questo il modo in cui l’ho percepito. Un imprenditore immobiliare. Una star dei reality. E, infine, il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Allora come oggi, il medium con cui Trump comunica meglio è quello delle immagini.
L’ultimo episodio dell’assalto visivo operato da Trump ha iniziato a fare il giro di internet giovedì scorso, quando il carcere della contea di Fulton in Georgia ha reso pubblica la sua foto segnaletica, che è stata poi descritta come una delle immagini più decisive della nostra epoca. E a ragione: non esiste un parallelo nel nostro lessico visivo. È, in tutti i sensi, un prodotto originale di Trump.
Insieme a 18 co-imputati – tra cui il suo ex capo dello staff alla dimora Bianca Mark Meadows, un funzionario del Dipartimento di giustizia statunitense, una serie di avvocati, un addetto stampa e un pastore luterano – Trump è accusato di aver avuto un ruolo di primo piano in una cospirazione tesa a ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali americane del 2020 in Georgia, dove la legge prevede di scattare una foto segnaletica alle persone accusate di un reato. Come la maggior parte delle immagini di Trump, anche questa non finge nemmeno di voler attutire l’impatto. La smorfia dell’ex presidente è aggressività pura, tutta veleno e intimidazione.
Di per sé, la fotografia non è nulla di particolare. Se non fosse intrisa di così tanto significato – si tratta della prima foto segnaletica di un ex presidente americano – sarebbe a malapena degna di nota (a onor del vero, va detto che durante il suo mandato il livello delle foto era piuttosto notevole: ricordate la sfera?). Ma l’estetica è quella classica di Trump. Le sopracciglia aggrottate. La nuvola colorata di capelli. Quel bagliore ostinato, gli occhi simili a dardi in cerca di un bersaglio. La fotocamera fatica a catturare la luce giusta, un aspetto che però sembra stranamente appropriato: l’oscurità di Trump in bella vista.
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di Jason Parham www.wired.it 2023-08-30 04:30:00 ,