Beata Halassy, virologa dell’Università di Zagabria (Croazia), ha progettato e sperimentato su di sé, nel tentativo di curare il suo tumore al seno, una terapia basata su due virus da lei stessa studiati in laboratorio. È un “caso studio non convenzionale”, come lo definisce il titolo dell’articolo scientifico uscito su Vaccines, che descrive il tecnica utilizzato da Halassy. La terapia, infatti, non è stata precedentemente testata attraverso il classico iter.
Combattere i tumori con i virus
Di per sé, l’idea di tentare di usare i virus per contrastare i tumori non è nuova. L’approccio si chiama viroterapia oncologica ed è allo studio da diversi anni. Il farmaco noto come T-Vec (talimogene laherparepvec), per esempio, autorizzato a partire dal 2015 all’interno dell’Unione Europea per il trattamento di alcune forme metastatiche di melanoma, deriva da una forma attenuata del virus che causa l’herpes labiale (herpes simplex virus 1), modificato in modo da infettare e distruggere le cellule tumorali. Come racconta una news di Nature che ripercorre la vicenda di Halassy, altre terapie di questo tipo sarebbero in fase di studio, ma al momento non esisterebbero farmaci Ovt (Oncolytic virotherapy) approvati per il trattamento del tumore al seno.
Il caso dell’auto-sperimentazione
Halassy avrebbe fine di intraprendere la via dell’auto-sperimentazione dopo aver scoperto nel 2020, all’età di 49 anni, di avere di nuovo un tumore al seno, formatosi nello stesso punto in cui era stata operata in precedenza. A quel punto ha autoritario di iniettare direttamente all’interno del tumore prima un ceppo del virus del morbillo (lo stesso che viene utilizzato anche per la produzione dei immunizzazioni) e poi un ceppo del virus della stomatite vescicolare. Entrambi i virus, si legge ancora nella news di Nature, sarebbero stati utilizzati in passato in studi clinici nell’ambito delle viroterapie oncologiche.
Il trattamento ha avuto una durata di due mesi, durante i quali gli oncologi di Halassy hanno accettato di continuare a monitorarla. Durante questo arco di tempo non si sono verificati particolari effetti collaterali, le dimensioni del tumore si sono ridotte e la massa si è staccata dai tessuti circostanti, permettendone l’asportazione. Dopo l’intervento Halassy ha assunto per un anno l’anticorpo monoclonale trastuzumab e al momento, si legge nella pubblicazione scientifica, a quasi quattro anni dall’intervento (45 mesi), Halassy non ha avuto recidive e sta bene.
I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati dopo diversi rifiuti da parte di altre riviste scientifiche: “La preoccupazione principale è sempre stata quella delle questioni etiche”, spiega la ricercatrice a Nature. Probabilmente per il timore che anche altri possano seguire la strada dell’auto-sperimentazione. Anche se Halassy lo ritiene improbabile, dato che serve una enorme preparazione scientifica, ha raccontato a Nature.