Buone notizie sull’efficacia della strategia di sorveglianza attiva per il tumore alla prostata. Si chiama ProtecT il trial clinico condotto in nove centri del Regno Unito e che ha visto la partecipazione di oltre 1600 pazienti con una diagnosi di tumore alla prostata localizzato. Una malattia molto diffusa – in Italia costituisce quasi il 20% di tutti i tumori maschili – ma fortunatamente caratterizzata da una elevata sopravvivenza: sempre in Italia parliamo del 91% dei pazienti a 5 danni dalla diagnosi, secondo le stime ufficiali relative al 2022. Per questo motivo, da tempo si investiga la possibilità di sottoporre i pazienti, specialmente se con una diagnosi di malattia a rischio basso o intermedio, a protocolli di “semplice” monitoraggio attivo, che prevedono test specifici effettuati con cadenza regolare, con l’obiettivo di tenere sotto controllo lo sviluppo della malattia e permettendo di intervenire se ritenuto necessario. Secondo i risultati del trial appena pubblicati sul New England Journal of Medicine, nonostante la progressione della malattia sia risultata più frequente nei pazienti facenti parte del gruppo di monitoraggio attivo, la loro probabilità di sopravvivenza non è risultata ridotta rispetto ai pazienti sottoposti a radioterapia o intervento chirurgico. I risultati sono anche stati presentati a Milano al congresso dell’Associazione Europea di Urologia (European Association of Urology, Eau) e confermano che quella del monitoraggio attivo è una strategia da tenere in considerazione.
Lo studio
Nello studio sono stati coinvolti 1643 pazienti di età compresa fra i 50 e i 69 anni che avessero ricevuto fra il 1999 e il 2009 una diagnosi di cancro alla prostata localizzato. Di questi, 545 sono stati assegnati al protocollo di monitoraggio attivo, a 553 è stato effettuato l’intervento di rimozione della prostata e, infine, 545 sono stati sottoposti a radioterapia. Tutti e tre i gruppi sono stati poi osservati per un una media di 15 anni (minimo 11 e massimo 21) e il protocollo di osservazione è stato completato per 1610 pazienti, ovvero il 98% di quelli che avevano inizialmente aderito al trial.
I risultati
Del totale dei pazienti, 45 sono decessi a causa del tumore alla prostata e di questi 17 facevano parte del gruppo di monitoraggio attivo, 12 di quello sottoposto a intervento e 16 di quello sottoposto a radioterapia. La mortalità, quindi, sarebbe da considerarsi bassa per tutti e tre i gruppi, indipendentemente dal tipo di trattamento ricevuto: “La maggior parte degli uomini con tumore alla prostata localizzato – ha affermato Freddie Hamdy, primo autore dello studio e professore presso l’Università di Oxford – vivrà probabilmente a lungo, indipendentemente dal fatto che riceva o meno un trattamento invasivo e che la malattia si sia diffusa o meno, per cui una decisione rapida sul trattamento non è necessaria e potrebbe rivelarsi dannosa”. Inoltre, secondo quanto emerso dal trial, le conseguenze negative della radioterapia e dell’intervento chirurgico sulla funzionalità urinaria e sessuale sembrano potersi protrarre fino a 12 anni, più a lungo di quanto precedentemente stimato. Secondo Jenny Donovan, co-autrice della pubblicazione e professoressa presso l’Università di Bristol, adesso medici e pazienti dispongono delle informazioni necessarie per valutare i possibili danni e benefici dei trattamenti: “La sopravvivenza – prosegue Donovan – non deve più essere presa in considerazione al momento di decidere il trattamento, poiché è la stessa per tutte e tre le opzioni”. Questo, come dicevamo all’inizio, nonostante il fatto che la probabilità di andare incontro a metastasi o progressione della malattia sia stata più elevata nel gruppo sottoposto a monitoraggio attivo, rispetto agli altri due: “Il fatto che la maggiore progressione della malattia osservata con il monitoraggio attivo non si sia tradotta in una maggiore mortalità – ha affermato Peter Albers, presidente dell’Ufficio Congressi Scientifici dell’Eau e urologo presso l’Università di Düsseldorf – sarà sorprendente e incoraggiante per urologi e pazienti”. Inoltre, ha aggiunto Albers, è possibile che i risultati ottenuti possano essere ulteriormente migliorati grazie ai protocolli di monitoraggio attivo e di biopsia di cui disponiamo oggi, che sono molto più avanzati rispetto a quelli disponibili durante il periodo nel quale è stato condotto lo studio.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2023-03-13 16:25:40 ,