Ogni anno il tumore alla prostata causa oltre 300mila decessi nel mondo. Oggi, tuttavia, arriva una nuova speranza per i pazienti affetti da questa neoplasia. Un team di ricerca internazionale, coordinato dalla University of South Australia, è riuscito a identificare tre nuovi biomarcatori che potrebbero migliorare l’identificazione e la differenziazione dei casi potenzialmente più aggressivi della malattia.
Tumore alla prostata
Il cancro alla prostata è una neoplasia che ogni anno colpisce oltre un milioni di uomini in tutto il mondo. E in Italia costituisce quasi il 20% di tutti i tumori maschili. Dato che il dosaggio del Psa, cioè l’antigene prostatico specifico, rimane ancora al centro di un acceso dibattito per la diagnosi precoce del tumore alla prostata, si legge sul sito dell’Airc, l’unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia prostatica. Come riporta una nota della Commissione europea, infatti, la sfida più difficile per la comunità scientifica è proprio quella di sviluppare marcatori in grado di distinguere tra i tumori iniziali non aggressivi e quelli in progressione verso forme invasive.
Il nuovo studio
A fare un passo importante in questa direzione è il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Cancers, che dimostra come i nuovi biomarcatori (Appl1, Sortilin e Syndecan-1), se usati insieme, aiuteranno i medici a determinare quali pazienti richiedono un trattamento immediato e radicale rispetto a quelli che necessitano di uno stretto monitoraggio. “Ciò porterà a miglioramenti a lungo termine nel modo in cui il cancro alla prostata viene diagnosticato e classificato”, commenta l’autore Douglas Brooks. “I biomarcatori sono straordinariamente sensibili e specifici nel visualizzare con precisione il progresso del cancro e confermarne il grado. Questa scoperta porta allo sviluppo di un test progettato per determinare quanto sia avanzato e aggressivo il cancro e se sia necessario un trattamento immediato”.
In attesa di riuscire a portare il test nella pratica clinica, il team spera di cominciare al più presto gli studi clinici che utilizzano questi tre nuovi biomarcatori. “Questa tecnologia rappresenta un cambiamento nel modo in cui i medici possono classificare e prevedere l’aggressività del cancro alla prostata”, Marnie Hughes-Warrington, ricercatrice alla University of South Australia. “Non vediamo l’ora di vedere la differenza che farà nei prossimi anni”.
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di Marta Musso www.wired.it 2023-07-20 10:11:17 ,