Indossando jeans scoloriti, Gershkovich incontrava spesso amici e colleghi al Veladora, un ristorante messicano del centro di Mosca, e in un bar kitsch noto per avere la migliore cheesecake della città, che ormai era diventato la sua seconda dimora. Nell’appartamento che divideva con coinquilini russi, ascoltava a tutto volume brani rock russi degli anni ’90 e suscitava risate quando chiedeva di ascoltare canzoni rock di nicchia di gruppi come i DDT.
Alla fine del 2021, ha ricordato in seguito Gershkovich, un collega lo trovò in un bar mentre faceva domanda per un posto di corrispondente al Wall Street Journal. Gershkovich inclinò il suo computer per mostrargli il modulo di domanda, come per incoraggiarlo a fare lo stesso. Fu assunto nel gennaio 2022. Un mese dopo, la Russia invase l’Ucraina e Gershkovich andò al confine tra Bielorussia e Ucraina. Fu così l’unico reporter americano a vedere i primi feriti delle forze russe che venivano riportati a dimora. «Scrivere articoli sulla Russia ora significa anche vedere persone che conosci essere rinchiuse in prigione per anni» scrisse su Twitter a luglio.
Quando le cose cambiano in Russia
Le sue visite alla sauna di Mosca rispecchiavano l’umore sempre più cupo del paese. Un giorno, verso la fine del 2022, un altro cliente della sauna lo sentì parlare inglese e gli disse: «Smettila di parlare quella fottuta lingua». Gershkovich pensò per un minuto, poi rispose in russo: «Questo è un paese multilingue». L’uomo si fermò, poi disse di nuovo: «Ma l’inglese non è una di queste».
Mosca, secondo lui, assomigliava sempre di più alla Russia degli anni ’90, caotica e in preda alla criminalità, mano a mano che le sanzioni promosse dagli Stati Uniti limitavano i settori dell’economia più orientati verso l’Occidente. Passava ore, fino a tarda sera, a discutere con colleghi, amici e fonti su come raccontare la storia di un paese che era in guerra con il suo vicino a Ovest. «È una costante crisi morale. Si discute di ogni articolo», racconta Polina Ivanova, corrispondente del Financial Times e amica di Gershkovich. «Evan parlava di cosa significava occuparsi della Russia piuttosto che dell’Ucraina. È una cosa molto difficile da comprendere e da collocare in relazione alla propria identità personale». Durante un reportage, Gershkovich fu seguito da diversi agenti di sicurezza russi, alcuni dei quali filmarono i suoi movimenti con una telecamera e fecero pressioni sulle sue fonti affinché non gli parlassero. Dava per scontato che il suo telefono fosse sotto sorveglianza. Durante un altro viaggio, nella regione occidentale di Pskov, fu seguito e filmato da uomini non identificati.
Il 29 marzo, quando Gershkovich si recò a Ekaterinburg, una città degli Urali a circa 1.500 km a est di Mosca, il suo telefono, così come quello di molti corrispondenti del Journal, era dotato di una applicazione GPS che permetteva ai suoi colleghi di seguirne i movimenti. Thomas Grove, reporter del Journal che a lungo ha seguito la Russia ed ora si occupa della Polonia, mentre stava andando a cena fuori, a Varsavia, notò che da molte ore Evan non mandava messaggi. Alle 19,12 Grove inviò un messaggio a uno dei responsabili della sicurezza del Journal: «Sei stato in contatto con Evan?». «Ci sto lavorando». «Il telefono è spento». Grove chiamò un conoscente di Gershkovich per chiedergli di passare in macchina dall’appartamento in cui stava Gershkovich. Le finestre erano al buio. Mentre Grove era al telefono, l’uomo spense il motore e suonò il campanello. Lo suonò di nuovo. La mattina dopo, troupe di giornalisti russi intravidero Gershkovich che veniva scortato vicino alla tromba delle scale, con la testa sotto la giacca.