La via per fermare la guerra passa da un «ristabilimento della verità», come sostiene Mattarella che indica in Putin il responsabile di «un inaccettabile diritto di aggressione». Chi invece tace il nome del presidente russo come autore dei massacri introduce un dubbio sulla responsabilità di questa follia
Due frasi sulla guerra, due reazioni ai missili russi degli ultimi giorni. La prima: «Una violenza indiscriminata sta colpendo l’Ucraina. Muoiono civili, bambini. È già tardi ma chiediamo a gran voce un’azione degli organismi internazionali per il cessate il fuoco e l’apertura di un negoziato». La seconda: «Una guerra sciagurata, che la Federazione Russa ha scatenato arrogandosi un inaccettabile diritto di aggressione, lascia ogni giorno una scia di morte e distruzione, di odio, che inquina anche ogni campo delle attività civili e delle relazioni. La pace è urgente e necessaria. La via per costruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino». La prima frase è di Graziano Delrio, parlamentare del Pd, uomo mite e giusto, buon cattolico. Per lui ciò che sta colpendo l’Ucraina è «una violenza indiscriminata». La seconda è di Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, personalità altrettanto mite, giusta e di fede cattolica. Per lui la «guerra sciagurata» è stata scatenata dalla Federazione Russa.
Entrambi cercano sinceramente, come tanti, come tutti gli italiani, la pace. Ma la differenza sta nel come pensano di poterla raggiungere. La via per costruirla passa da un «ristabilimento della verità» per Mattarella. Per Delrio, invece, sta nel tacere il nome di chi ha scatenato la guerra; quasi come se fosse cominciata da sola, per caso. Ho trovato una spiegazione a questo apparente paradosso nelle parole di un altro fervente cattolico, un grande scrittore inglese, G. K. Chesterton (Rubbettino ha appena pubblicato un testo fortemente anti-tedesco da lui scritto nel 1914, La barbarie di Berlino, a proposito della Grande Guerra; oggi decisamente datato ma su questo punto ancora attuale). Eccola: «Vorrei indirizzare la mia protesta soprattutto contro quegli amanti e quei propugnatori della pace che, con straordinaria ristrettezza di vedute, hanno di tanto in tanto assecondato questa attitudine. Mi riferisco al fastidio per quei dettagli preliminari su chi abbia fatto questo o quello, e se ciò fosse o meno giusto. Essi paiono soddisfatti semplicemente affermando che una enorme calamità, chiamata guerra, è stata iniziata da qualcuno, o da tutti, e dovrebbe essere conclusa da qualcuno, o da tutti. Desidero dire a costoro che si sbagliano: che si sbagliano a proposito di tutti i principi della giustizia umana e della continuità storica».
Al fine di imporre la pace, è insomma indispensabile individuare e denunciare la responsabilità della guerra. A meno di non intendere la pace come la vittoria dell’aggressore, di colui che ha rotto la legalità internazionale, autorizzandolo così a usare ancora in futuro le armi per risolvere con la forza le controversie. E questo i pacifisti veri e sinceri, come Graziano Delrio, non possono volerlo (i putiniani di complemento di dimora nostra sì, lo vogliono, ma è un altro discorso). Il pacifista ha certamente grandi esempi storici dalla sua parte. Battaglie di libertà vinte senza dar guerra. Citerò una per tutte: l’indipendenza indiana. Gandhi la ottenne rifiutandosi di rispondere alla violenza armata dei colonialisti inglesi. Usò dunque un metodo ben diverso da quello di Zelensky, che ha deciso di difendersi in armi (con un certo successo, tra l’altro, a dispetto di chi prevedeva un rapido «sventramento» dell’Ucraina). Ma qualcuno può avere dubbi sul fatto che Gandhi avesse ragione nel pretendere la piena indipendenza dell’India? Ci sono anche molti esempi opposti. Prendiamo Ho Chi Min. Lui sfidò l’imperialismo americano combattendo. Vinse anche lui. Ma qualcuno può avere dubbi sul fatto che fosse nel pieno diritto di difendere la sua patria?
Invece oggi, nel tacere il nome di Putin come autore dei massacri, nel mostrarsi comprensivi della sue presunte ragioni, si introduce un dubbio sulla responsabilità di questa follia. E così la si allunga: perché si condiziona la pace al beneplacito di chi ha mosso guerra. Certo, le colpe non sono mai da una sola parte, nella storia. Ma, «a meno che non siamo tutti pazzi, anche dietro la faccenda più sconcertante c’è una storia», scrive ancora Chesterton: «Se incendio una dimora, può essere che il padrone di dimora sia bruciato perché era ubriaco; può darsi che la padrona di dimora sia bruciata perché avara, e sia morta mentre litigava sul costo di una scala antincendio. Ciò nondimeno, resta ancora più vero che entrambi sono bruciati perché ho dato fuoco io alla loro dimora». Questo è il punto. E i veri e sinceri pacifisti saranno tanto più forti e più convincenti quando andranno a protestare contro chi ha dato fuoco alla dimora. Come farà giovedì Enrico Letta, segretario del partito di Delrio, sotto l’ambasciata russa: perché non c’è pace senza verità.
11 ottobre 2022 (modifica il 11 ottobre 2022 | 22:00)
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Antonio Polito , 2022-10-11 20:00:41 ,