The Unforgettable Fire è pieno di gioielli: A Sort Of Homecoming, nata dall’idea che la poesia sia una sorta di ritorno a casa, come scriveva poeta Paul Celan, è epica ed evocativa; Wire, elettrica e nervosa, è ancora una canzone sull’eroina. E c’è Promenade, elegia lirica che racconta una passeggiata con la moglie Ali, omaggiando Van Morrison. L’album si chiude con un’altra canzone dedicata a Martin Luther King, MLK: una ninnananna con la voce di Bono che si dipana quieta su un tappeto di tastiere. “Nelle scritture si parla della voce del sangue che grida dalla terra, ma non grida vendetta, grida comprensione” avrebbe spiegato il cantante. È una canzone che sarebbe stata spesso reinterpretata come preghiera per defunti e vittime di tragedie.
Quell’uomo che non faceva finire le canzoni
The Unforgettable Fire è il simbolo del nuovo modo di lavorare degli U2, di una musica ambientale, cinematica, atmosferica, che avrebbe portato, tre anni dopo, al capolavoro The Joshua Tree. Un album fatto di schizzi, impressioni, promesse di canzoni mai finite – ma questo lo siamo venuti a sapere solo molto tempo dopo – all’orecchio di chi ascolta si presenta invece estremamente coeso, coerente, un cerchio compiuto con una sua personalità ben precisa. Lungi dall’essere una raccolta di canzoni, tanto meno di provini, è uno degli Album per eccellenza degli U2, una di quelle opere dove tutto sembra essere al posto giusto. Non a caso è amatissimo dai fan e considerato dalla critica. Per tutti, o quasi, è l’album più riuscito dopo i capolavori indiscussi, The Joshua Tree e Achtung Baby. Grazie a una band in stato di grazia, capace di rischiare. E a quell’uomo che non faceva finire le canzoni.
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di Maurizio Ermisino www.wired.it 2024-10-01 10:30:00 ,