L’unico contatto che Amanda ha con l’esterno è Danny, la discreta e gentile presenza che si prodiga altruisticamente per aiutarle; per il resto è costantemente sola con i propri demoni e la crescente instabilità mentale. Come dramma psicologico Umma è toccante e potente, un’esplorazione verosimile e sconcertante delle dinamiche familiari e di come possano degenerare a seconda delle circostanze. Amanda è figlia di immigrati coreani in America: laddove il padre si è presto integrato, la madre, isolata linguisticamente, ha sfogato sulla bambina la propria disperazione. Quella follia, tramutata in sadismo, è l’elemento più spaventoso del film. Se la Shim avesse scelto di tralasciare le derive soprannaturale – Umma è un horror gotico ambientato nella tipica abitazione infestata e declinato all’orientale, una storia di fantasmi e creature soprannaturali del folklore asiatico (lo spirito di vendetta, lo spirito volpe, e così via…) – avrebbe perso buona parte della sua suggestione ma ne avrebbe guadagnato in potenza narrativa.
Il valore aggiunto del film è Sandra Oh: è su di lei che appoggia tutto il film. È lei, man mano che la “possessione” materna prende il sopravvento, a spaventare davvero. Il timore di Amanda di diventare come la madre innesca paure che la spingono paradossalmente proprio nella temuta direzione, trasformando lei nell’oggetto del terrore molto più che le apparizione spettrali e permettendo alla sua interprete di fornire una prova attoriale pregevole, intrisa di tormento, disperazione, paura, amore e forza di volontà. Senz’altro alla 51nne canadese ha giovato abbracciare le proprie origini coreane (da quando la “hallyu” è esplosa, l’industria dello spettacolo americana si è accorta che una delle proprie star è provvista del pedigree ideale): The Chair – La direttrice e Umma coincidono, infatti, le sue interpretazioni recenti migliori.
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di Lorenza Negri www.wired.it 2023-05-08 14:00:00 ,