Dopo cinque aste andate deserte lo scorso ottobre la Provincia di Grosseto ha trovato un acquirente per un pezzo di Maremma in vendita da tempo e che comprende anche circa il 20% della riserva naturale di Diaccia Botrona. Si tratta di una zona umida protetta di importanza internazionale per la fauna ornitologica. Secondo i dati della Lipu ogni anno ci sono tra i 10 e i 30mila uccelli che vengono a svernare in queste paludi comprese alcune specie rare e simboliche come l’oca selvatica e la gru.
Ora, con una petizione su Change.org, una rete di associazioni ambientaliste hanno chiesto all’amministrazione di fare un passo indietro e rinunciare al contratto. L’asta per i terreni si è chiusa oltre un mese fa e, più che semplici strette di mano, i compratori hanno appena versato una cauzione di circa 600mila euro, il 10% dell’intero valore dei 49 lotti: 6 milioni di euro. In tutto sono 950 ettari dei quali 200 nell’area protetta. Tra una decina di giorni poi da queste parti si vota per eleggere la nuova giunta provinciale. L’attuale presidente Antonfrancesco Vivarelli Colonna, sindaco del capoluogo, non si è ricandidato e questa vertenza è probabile che sarà affrontata dal prossimo esecutivo. La firma definitiva della cessione, dopo i dovuti accertamenti, è prevista per l’inizio del nuovo anno. Tutta la riserva della Diaccia Botrona è classificata come zona umida d’importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar ed è inclusa nella Rete Natura 2000 promossa dall’Unione europea.
Viene spontanea una domanda: ma un posto del genere può essere messo in vendita come una proprietà qualsiasi? Questo pezzo di Maremma è passato qualche anno fa dalle mani del demanio a quello della Provincia di Grosseto seguendo il cosiddetto federalismo demaniale: un percorso di delocalizzazione delle proprietà dello Stato agli enti territoriali per avviare progetti di valorizzazione, termine ambiguo che nella maggior parte dei casi rimanda all’alienazione del patrimonio pubblico. Da questo programma sono stati esclusi, per esempio, i parchi nazionali e le riserve naturali statali ma non quella di Diaccia Botrona che rientra tra le riserve regionali. Nel bando della Provincia è stato comunque specificato che tutta la zona umida nei confini dell’area protetta dovrà rimanere in concessione a un’istituzione pubblica.
Il nuovo proprietario dell’area, una joint venture tra il Gruppo Farchioni e Bonifiche ferraresi, dovrà fare a meno di questi 200 ettari che, con ogni probabilità, saranno gestiti dal confinante comune di Castiglione della Pescaia che si è già fatto avanti per tutelare la riserva. Il problema, ora, sono i rimanenti 750 ettari. I vincitori dell’asta, aziende di primo piano nel settore agro-alimentare, hanno dichiarato di voler convertire il territorio alla produzione biologica.
“Oggi molti di quei terreni che circondano la palude di Diaccia Botrona sono coltivati da piccoli concessionari principalmente con cereali che sono alla base della catena alimentare delle oche selvatiche e di altre specie. – spiega Luca Passalacqua, coordinatore del Wwf a Grosseto e tra i principali promotori della mobilitazione – Oltretutto gli uccelli non danneggiano le piante perché favoriscono la ricrescita di nuove spighe a vantaggio della raccolta finale. Siamo di fronte a un habitat con un equilibrio delicato e temiamo che l’impatto di un tipo di agricoltura intensiva, rispetto a quella attuale che è più parcellizzata e a base cooperativa, possa compromettere per sempre questo patrimonio naturalistico”. Finora la petizione su Change sfiora le 45mila firme.
Oltre a oche selvatiche e gru le paludi di Diaccia Botrona, quel che rimane del preistorico lago di Prile, sono state avvistate specie di particolare importanza dal punto di vista conservazionistico come il lanario, il falco sacro, la gallina prataiola e persino un’aquila imperiale.
In realtà, la strada per rinunciare alla vendita appare piuttosto in salita. La Provincia dovrebbe restituire la cauzione al nuovo proprietario e una quota del 25% allo Stato così come previsto dal federalismo demaniale. Ma è presto per dire la parola fine: la Lipu si sta mobilitando anche a livello europeo con i partner di BirdLife International affinché all’area sia garantita un livello di conservazione adeguato.
Nella petizione online la Fondazione Capellino, una no-profit di Genova per la tutela della biodiversità che si sostiene con la vendita di una linea di pet-food, ha chiesto di sospendere tutti gli atti per 90 giorni e si è dichiarata disponibile a mettere a punto un progetto alternativo per proteggere l’intero territorio e creare un centro di ricerca internazionale sulla biodiversità anche con la collaborazione dei Paesi del nord Europa dove nidificano molte delle specie svernanti in questa palude della Maremma.
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2021-12-14 09:45:12 ,
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