Se i vari Basic Instinct, Attrazione fatale e Body of Evidence tendevano a sfruttare maliziosamente, invariabilmente (e misoginisticamente) l’immagine della femme fatale psicopatica, Ossessione fa tutt’altro, opta per un’indagine di come il dolore della perdita può condizionare per sempre l’esistenza della donna che, a quella tragedia, è sopravvissuta. Ma sempre con un senso di colpa e una tendenza all’autodistruzione. In questo senso, Obsession è più un thriller psicologico che erotico, un rappresentazione che può anche ferire lo spettatore. Tuttavia, la scelta di modificare il titolo da “Il danno” a “ossessione” indica l’intento palese di soffermarsi sull’infatuazione erotica del protagonista maschile; la storia è scandita dagli incontri proibiti tra i due, mentre Anna esercita la sottomissione come strumento di potere nei confronti di un amante che non vede altro che lei, che non pensa ad altro che lei, che non vive se non per quelle fugaci sessioni. Di rado il piccolo schermo ha mostrato così vividamente i confini di quella che è si presenta come forma di pazzia. “Un’ossessione non deve essere necessariamente erotica. L’ossessione è una dipendenza come può esserlo dalle droghe, o dall’adrenalina” ha puntualizzato Armitage, “Io, per esempio, ho bisogno di lanciarmi sciando alla massima velocità giù dalle montagne. Quando arriva la stagione invernale non faccio altro che pensare alle vette e non vedo l’ora di infilarmi gli sci”.
Leggi tutto su www.wired.it
di Lorenza Negri www.wired.it 2023-04-13 14:07:50 ,