Vacanze di Natale compie 40 anni e chi lo considera un mito, parte del proprio vissuto di spettatore e non solo, lo potrà ritrovare su Paramount+, dal 7 dicembre. Il film veniva mostrato in sala per la prima volta una settimana dopo, alla fine di quel 1983 dove l’Italia trovò in Carlo Vanzina, il profeta di quella cinematografia capace di raccontare il presente mentre esso si palesava ed evolveva. Eppure, a riguardare il primo cinepanettone di sempre, film diventato mito popolare, occorre anche essere onesti e riconoscere che la sua iconicità forse non è mai stata così innocente o innocua.
Vacanze di Natale crea il concetto di cinepanettone e questo lo abbiamo capito tutti. Quell’avventura comincia il 13 dicembre 1983, ed ottiene una buona accoglienza al botteghino, buone anche quelle dalla critica. Sorta di seguito non dichiarato di Sapore di Mare, altra commedia che fece storia in quell’estate, come tante piccole rivoluzioni arriva di sottecchi, nessuno se ne accorge, è come un’ospite inatteso all’interno di una stanza. Invece segnerà l’inizio non solo e non tanto di un ciclo cinematografico destinato a fare la fortuna degli esercenti, dei Vanzina e Neri Parenti, di Christian De Sica, Jerry Calà, Massimo Boldi e tutta una schiera di caratteristi, comici, vallette e compagnia. Vacanze di Natale crea il prototipo di quello che non è semplicemente un instant movie, ma potremmo definire un era movie, descrizione della contemporaneità e del futuro assieme.
La sua prole cinematografica, per i trent’anni successivi, sarà un appuntamento imperdibile con cui l’italiano medio guarda a se stesso, ai propri (non) valori e sogni, rappresentati dai propri beniamini in modo ciclico e ripetitivo. Un film per famiglie o sulle famiglie? Probabilmente entrambe le cose anche se inavvertitamente. Qualcosa che però in questo film sarà deformazione plasticata di un grande must del nostro cinema già dominante. La verità è che Vacanze di Natale ha fatto la storia non solo del nostro cinema, sarebbe troppo riduttivo, ma soprattutto della nostra società e della rappresentazione che essa ha avuto di sé stessa. Da quelle nevi infatti l’epopea si sarebbe ripetuta incessantemente girando per il mondo, inno alla vacanza come riscatto del piccolo borghese catodico, stabilendo uno standard che poi sarebbe stato imitato in modo tanto massiccio, quanto ad un certo punto quasi asfissiante, sterile almeno finché è durato il suo mentore: il berlusconismo.
Inutile girarci attorno: l’Italia degli anni 80, quella da bere, festaiola, godereccia, ottimista e socialista, diventa l’Italia del Cavaliere, delle sue televisioni, della sua visione della società, della vita, della donna. Vacanze di Natale ci presenta la famiglia Covelli, altezzosa e ricchissima, quella romana rozza ma molto più umana dei Marchetti, e poi Billo Damasco, Serenella, Samantha, le varie altre coppie che ruotano attorno a quella Cortina sfavillante, un microcosmo scevro da ogni criticità reale o presunta. L’Italia si traveste da terra promessa, dopo i conflittuali ogni ’70 abbraccia il consumismo, che qui trasuda da ogni vestito, ogni canzone, da una realtà dove la povertà, di base, non esiste veramente, dove conta la prossima magnata, prossima bevuta e prossima sveltina avete capito. Certo, è netto il legame con Vacanze d’Inverno di Camillo Mastrocinque, ma ogni merito è indiretto, creato dal suo successo, non dai suoi contenuti, lì dove tutti sperano di avere più di quello che possono, più di quello che meritano anche.
Questo riguarda i sentimenti così come il tenore di vita, lo sfarzo, il lusso, il mito dell’accessibilità generalizzata che domina quel decennio di cui Cortina ancora oggi è totem, con tanto di pellegrini in visita all’Hotel de la Poste. Dominerà poi la stagione politica dei vent’anni successivi del Cavaliere. Qualcuno potrà provare la nostalgia di una stagione irripetibile, ma non per questo da rimpiangere, un po’ come il fu PDS o le boutade del Cavaliere. Vacanze di Natale è infatti privo di una qualsiasi critica o analisi di personaggi ed eventi, e la società italiana gradì moltissimo la cosa. Tutto questo anticipò la fortuna di quella risata che, nei decenni successivi, sarebbe stata per sempre slegata alla profondità di un ragionamento, mentre il pubblico diventava sempre più bue, sempre più berlusconiano, sempre più autoassolutorio al cinema come nella cabina elettorale. Il che l’ha reso anche strumento di propaganda culturale, né più né meno di Striscia la Notizia, il Grande Fratello, i Quiz e compagnia bella.
Vacanze di Natale è girato con mestiere, narra i sogni dell’Italia si chiude in discoteca dopo essere stata nelle piazze, che si affiderà da lì a poco a politici che non saranno mai poi così diversi da quelli che Jerry Calà e Christian De Sica interpreteranno, coadiuvati poi da altri volti che diventeranno tanto familiari, quanto onnipresenti all’interno di una semantica ridotta all’osso. Non gli si possono certamente imputare i vari ed evidenti demeriti artistici che poi i suoi figli, figliocci, più o meno dichiarati, hanno reso tanto palesi quanto ricorrenti. Perché il film ancora oggi in realtà funziona benissimo, scorre con perfetto equilibrio, con sguardo freddo ci dà le contraddizioni e l’ipocrisia dell’Italia di quegli anni, della rappresentazione che noi da allora abbiamo sempre dato di noi stessi e questo non può essere sicuramente sottovalutato. Ma rimane la responsabilità di aver cominciato un lavaggio del cervello che finisce, non causalmente, quando cade Berlusconi.
L’anno è il 2013, quando Sorrentino con La Grande Bellezza celebra la morte del berlusconismo e assieme proprio dei cinepanettoni, suoi alfieri, emanazioni e spot semantici. In Roberto, Billo e Mario, nelle smargiassate di Donato e Giovanni, c’è stato quel suo (nostro) dipingersi come simpatica canaglia, che in fin dei conti chiedeva solo qualche scappatella, un po’ più di soldi, godersi la vita. La realtà naturalmente era molto diversa, dentro i cinepanettoni si celebrava l’attrattiva di Silvio, coi “sani valori” declinati col maschilismo, l’oggettificazione della donna, la sua umiliazione, l’elogio della furberia. A quegli anni ’80 di Cortina, l’Italia è rimasta fedelissima, ferma, immobile, innamorata del consumismo, del materialismo più spinto, la cattiveria piccolo borghese arcigna e permalosa, la mancanza di cultura e profondità che tutti, davvero tutti, i personaggi di questo film accomuna e stringe.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-12-07 05:20:00 ,