MILANO — Valerio Giuffrida, procuratore insieme al fratello Gabriele nell’agenzia GG11, è anche consigliere di Aiacs-Assoagenti. Oltre a operare nel primo calciomercato senza decreto Crescita dal 2020, deve rispondere alle preoccupazioni dei colleghi, che di colpo si sono trovati a non potere più contare sugli sgravi fiscali previsti dal governo Conte per le società di calcio che assumono allenatori e giocatori che hanno vissuto fuori dall’Italia nell’ultimo biennio. La facilitazione è venuta meno lo scorso 1° gennaio, data di apertura della finestra di scambi. “L’abolizione del decreto Crescita è l’ennesimo autogol che ci siamo fatti come Paese. Siamo cronicamente autolesionisti”.
Quali sono stati i primi effetti dell’abolizione delle agevolazioni?
“Diventa più complicato portare in Italia giocatori e allenatori importanti. Ne deriverà un impoverimento dei club italiani, dal punto di vista tecnico ed economico. Ne risentiranno anche i settori giovanili, che si sarebbero voluti tutelare. Per non parlare della mancanza di gettito erariale e contributivo. Lo dico da commercialista: minori stipendi significano meno tasse e contributi allo Stato. Un circolo vizioso. Puro masochismo”.
È così malmesso il nostro calcio da avere sempre bisogno di aiuti?
“Il problema è il decremento dei ricavi dei diritti televisivi e degli sponsor, da cui deriva la perdita di attrattiva della Serie A, via via più povera. Quanto agli aiuti pubblici, sono sempre stati centellinati, anche nel periodo più duro del Covid”.
Nonostante tutto, qualcosa in questo mercato di gennaio si sta muovendo.
“Si tratta per lo più di scambi interni, visto che prendere giocatori all’estero è più costoso rispetto a prima. La Roma che prende Huijsen e il Milan che richiama Gabbia, entrambi ottimi giocatori, sono degli esempi”.
Non pensa fosse impopolare aiutare fiscalmente il calcio, che paga stipendi milionari in un momento di crisi economica?
“Nella sua formulazione originaria la norma prestava il fianco a eccessi, ma si sarebbe potuta modificare, ad esempio stabilendo un numero massimo di operazioni che potevano beneficiare dell’agevolazione, così come avviene per il tesseramento dei calciatori extracomunitari”.
L’abolizione aiuterà la Nazionale, come sostiene l’Associazione italiana calciatori?
“No. Si è sostenuto che il decreto Crescita impedisse di sviluppare accademie e settori giovanili. Dopo l’abolizione, si è esultato per un presunto ritorno alla competitività della Nazionale. L’Italia non si è qualificata ai Mondiali di Russia del 2018, mentre il decreto è dell’anno successivo. Difficile trovare un nesso fra le due cose”.
Come si aiuta allora la Nazionale?
“Investendo sulle accademie. Negli ultimi anni, con il decreto Crescita, si stava andando in quella direzione. Tanto è vero che i settori giovanili italiani hanno iniziato a sfornare talenti, che hanno esordito all’estero e in Italia, anche in club come Juve e Milan. Questo forse è successo anche perché le società hanno potuto risparmiare, grazie ai benefici fiscali. Ora rischiamo di tornare indietro. La diminuzione delle risorse costringerà a spendere sui bisogni nel breve periodo della prima squadra”.
L’effetto Arabia Saudita sul calciomercato si è già esaurito?
“L’exploit si è avuto l’estate scorsa e nulla di simile potrà ripetersi nel medio periodo. I quattro club sauditi più ricchi, di proprietà del fondo sovrano, hanno esaurito gli slot disponibili. È prevista una modifica del regolamento per tesserare un maggior numero di stranieri, ma in campo potranno essercene al massimo otto. E gli altri club hanno proprietà meno ricche, non possono permettersi stipendi faraonici”.
Già finita la pacchia, quindi?
“Probabilmente alcuni calciatori rientreranno in Europa, incentivati dai club arabi che pagheranno parte degli stipendi, e libereranno posti per altri colpi in entrata. In ogni caso gli investimenti arabi, passati e futuri, non vanno demonizzati. Hanno dato ossigeno ai club europei”.
E anche a voi agenti
“È normale che siano aumentate le commissioni a livello globale. Se aumentano i volumi dei trasferimenti, grazie agli arabi ma anche agli inglesi, lievitano proporzionalmente le provvigioni. Se lavorassimo con l’Italia, la prospettiva non sarebbe certo rosea. Il mercato sarebbe meno dinamico”.
Qualcosa si sta muovendo, a partire dal vostro Dragusin.
“Sembra che il mercato sia iniziato da due mesi… Di Dragusin si parla per i molti interessamenti che ha avuto. Buchanan all’Inter è stata un’operazione complicata, proprio perché il decreto Crescita è stato cancellato in corso di trattativa. Traoré ha contratto un virus fastidioso ma ora sta bene. Ha avuto richieste in Italia e Spagna. Gudmundsson sta facendo innamorare i tifosi del Genoa e ogni amante del calcio. Ma restano le preoccupazioni di sempre, che condividiamo con tutta la nostra categoria”.
Quali?
“Anzitutto, farsi pagare. Quando si parla di commissioni, bisognerebbe precisare quanta parte venga poi realmente versata agli agenti. I tempi dei pagamenti possono essere lunghissimi, anche quattro o cinque anni. Agli agenti però lo Stato chiede di anticipare subito le tasse di competenza, indipendentemente dall’incasso”.
Come mai questi ritardi?
“Perché le società di calcio, al contrario di quel che succede a noi, pur rimandando i pagamenti, deducono i costi e risparmiano in tasse. Una forma anomala di finanziamento a favore delle società e a discapito degli agenti. Non ricordo di aver mai avuto, nel mio rimpianto passato da commercialista, tanta difficoltà a riscuotere dei crediti”.
Non potete fare causa per ottenere i vostri soldi?
“Fare causa, soprattutto per gli agenti più piccoli, è complicato perché si rischia di perdere clienti. Anzi a volte si può parlare di cliente, al singolare. Molti colleghi lavorano con un giocatore soltanto”.
Così però si rischia di non essere pagati mai.
“Esatto. E cominciamo a vedere le prime proposte di ristrutturazione dei debiti nell’ambito del codice della crisi, che portano alla defalcazione forzata di crediti, anche notevoli. Ovviamente l’insolvenza pesa di più sui piccoli agenti che sulle società più strutturate”.