Vanessa Nakate dice che il cambiamento climatico è e non può non essere una questione razziale. Silvia Federici, una studiosa femminista ormai anziana, dice che il cambiamento climatico è e non può non essere una questione di genere. Sembra quindi che ogni lotta sia una lotta per l’ambiente. La lotta per l’ambiente comprende tutte le altre lotte. È una riappropriazione del diritto a esistere. È la riappropriazione più autentica del diritto alla vita e quindi dell’essere presi in considerazione, dell’essere tenuti in considerazione. Quindi, da questo punto di vista, come scrive anche Vanessa, non può esistere giustizia climatica senza giustizia sociale.
Il titolo in italiano del tuo libro è “Aprite gli occhi”. Aprire gli occhi su cosa? Su cosa dovremmo aprire gli occhi, davvero, oggi?
“Credo che il mondo debba aprire gli occhi di fronte alla crisi climatica che sta avvenendo proprio adesso, davanti ai nostri occhi. Il cambiamento climatico non è una cosa che avverrà nel futuro, è qualcosa che sta accadendo proprio adesso. Provengo da una comunità e da un Paese che è fra quelli che stanno soffrendo il peggior impatto della crisi climatica, che si traduce in inondazioni, piogge torrenziali, siccità e carestie. Il mondo deve capire che siamo di fronte a un’emergenza. Anche al di là della situazione in Uganda, la crisi climatica ha un impatto duro e forte su tutto il continente africano. Storicamente il continente africano è responsabile di meno del 4% delle emissioni di gas a effetto serra e tuttavia l’impatto sul nostro continente è durissimo. Abbiamo visto cicloni, rifugiati e decessi per causa estrema, persone che restano senza un riparo, senza un tetto. La siccità ha causato la perdita di accesso al cibo a milioni di persone. Quindi, quando parliamo di crisi climatica, non parliamo solo di tempo metereologico o di statistiche. Parliamo di persone. Ma soprattutto è importante aprire gli occhi alla speranza, sapere che un mondo diverso non è solo necessario, è anche possibile”.
Salone del Libro – Apriamo gli occhi, il clima e noi
Io sono giovane come te: ci separa solo un anno di distanza. Scrivo, come te. E sono donna, come te. Partiamo screditate. Mi chiedo come mai sia un momento così difficile per chi è giovane e per chi tenta di fare sentire la propria voce. Perché i giovani vengono così puntualmente ignorati e dimenticati?
“È molto frustrante per i giovani di tutto il mondo sapere che stanno andando incontro alla catastrofe e che sono di fronte a un futuro che li spaventa. Spesso si sente dire dei giovani, quando parlano i leader e i capi di stato e di governo, che sono una grande fonte di ispirazione e che salveranno il mondo. Ma parole come queste non bastano e non ci salveranno dal cambiamento climatico. È molto frustrante realizzare che gli scioperi e la lotta per la giustizia climatica non sono presi in considerazione e che l’imminenza di questa crisi, l’imminenza delle sfide a cui siamo di fronte, non vengono calcolate. È davvero molto frustrante vedere che i governi non sono consapevoli di continuare a muoversi nella direzione sbagliata. Parlando specificatamente della situazione delle giovani donne e ragazze, ecco un esempio di sfida che deve affrontare una giovane attivista come me: quando ho iniziato a scendere in strada e a protestare, i commenti che mi arrivavano sui social network riguardavano il fatto che scendevo in strada perché ero alla ricerca di un uomo sposare. Questo per dare un’idea di ciò a cui vanno incontro le giovani donne quando combattono in favore della giustizia climatica”.
Ma secondo te perché i giovani non si arrabbiano? Sono stati tanti i movimenti formatisi negli ultimi anni, i Fridays for Future ma anche il tuo Rise Up Movement. Di fatto, però, c’è ancora moltissima apatia. Cosa manca affinché i giovani diano luogo a una presa di coscienza davvero collettiva?
“Io credo che i giovani stiano già facendo e abbiano già fatto ciò che spetta loro. Il Fridays for Future è un movimento nato nel 2018 e ancora oggi ci sono moltissimi giovani in ogni parte del mondo che tutti i venerdì scioperano e combattono per la giustizia climatica. La questione secondo me non è e non deve vertere sul modo in cui rendere i giovani ancora più arrabbiati, ma spostare la responsabilità sui leader e sui capi di governo. È molto triste constatare che invece questi ultimi attribuiscono ai giovani la responsabilità di ciò che sta accadendo al Pianeta, quando di fatto noi non siamo presenti nelle stanze in cui vengono prese le decisioni in merito. Secondo me i giovani stanno già ampiamente svolgendo il loro ruolo. Chi non adempie al proprio dovere sono i leader e mi chiedo cosa stiano attendendo ad agire”.
Ma non c’è una contraddizione implicita nella modalità di gestione dei governi? Si parla di provvedimenti e leggi, di come sostituire le energie fossili con quelle rinnovabili e in quanto tempo.
“Sicuramente il comportamento di tutti è essenziale per cambiare le cose. Si parla spesso di responsabilità individuale. Ma credo anche che se si metta troppa pressione sulle singole persone, i governi e le corporazioni tenderanno a ritirarsi. Il cambiamento deve essere sistemico. Ci sono componenti di comunità o di città che non riescono a condurre una vita sostenibile, pure se lo desidererebbero molto. In Europa è molto facile, ad esempio, affidarsi a mezzi di trasporto affidabili e puliti. Nel mio Paese questo non è possibile. Il ruolo dei governi deve essere quello di garantire ai cittadini la possibilità di aderire a esistenze sostenibili. La collaborazione tra individui e governi è senz’altro indispensabile, ma è anche importante tenere a mente che non sono le persone a essere colpevoli delle fughe di petrolio o dell’inquinamento dell’acqua”.
Tu scrivi, nel tuo libro: “Se gli adulti non si attengono ai fatti e non dicono la verità sulla crisi climatica, che senso ha l‘istruzione, innanzitutto? Se il sapere non porta all‘azione, e il futuro a cui l‘istruzione dovrebbe prepararti sta venendo ipotecato dagli stessi che ti dicono di andare a scuola, allora perché non scendere in strada per assicurarsi che ci sia un futuro, invece di starcene seduti in classe?”. Credo che questa realtà rifletta, seppure involontariamente, la situazione di tanti giovani. Anche se non se ne accorgono, anche se non le riconducono alla crisi climatica, sono esposti a forme latenti di depressione, dato che un futuro sembra non esserci nemmeno. Che senso ha impegnarsi, studiare, produrre progettualità in merito all’esistenza? Cosa risponderesti a un giovane che ti pone questo quesito?
“Ti racconto la mia esperienza. Io ho iniziato con gli scioperi nel 2019 e presto ho cominciato ad avvertire un senso di frustrazione enorme. Proprio per la mancanza di risposte e reazioni da parte dei leader. Nonostante continuassimo con gli scioperi ogni settimana, il disastro continuava con inondazioni e carestie continue. Ho sofferto di depressione. Sentivo di non avere più la forza. Avevo la sensazione che ciò che stavo facendo non portasse alcun risultato. Poi, però, mi sono ricordata di essere parte di una comunità globale. Questo è un aspetto molto importante per i giovani. Muoversi all’interno di una collettività significa che se una settimana ti senti avvilito o stanco, c’è qualcuno a darti il cambio, a raccogliere il tuo testimone, a chiedere giustizia climatica al posto tuo fino a che non avrai recuperato energie”.
Quando è arrivata la pandemia i governi sono riusciti a correre ai ripari nel giro di pochi giorni. Hanno imposto la rinuncia di intere dimensioni collettive e le reazioni da parte del popolo si sono rivelate tutto sommato buone. Inoltre, gli scienziati hanno trovato non un solo vaccino, ma più immunizzazioni, in meno di un anno, cosa che non era mai successa prima. Non è un po’ paradossale che un approccio, non dico identico, ma quantomeno simile, non venga applicato alla catastrofe climatica, che è ben più grave?
“Perché non c’è volontà politica. È importante che la gente sappia che le risorse per affrontare la crisi climatica ci sono. Il problema non sono né le risorse né i finanziamenti. Il problema è la mancanza di risposta e responsabilità politiche”.
A nome di tutti: c’è ancora speranza? Il panorama attuale sembra piuttosto catastrofico, l’ultimo report dell’Organizzazione metereologica mondiale è più scoraggiante che mai. Viene spontaneo domandarsi: la catastrofe è ineluttabile? E se fosse già avvenuta? Possiamo ancora combattere il cambiamento climatico?
“Senza speranza, non avremmo motivi per continuare a combattere. È la speranza che ci attribuisce la forza di scendere in piazza, riunirci in comunità, avviare progetti, avere la consapevolezza che possiamo costruire il futuro che vogliamo. E anche quando non ci sono più motivi di speranza, io continuo a sperare. È una questione di scelta credere o meno che un altro mondo sia possibile e debba esserlo. Scendiamo in strada ogni venerdì perché pensiamo che i nostri sforzi non siano vani, perché pensiamo di non essere condannati e che dobbiamo continuare a fare tutto ciò che possiamo. Se noi molliamo, che futuro avremo davanti a noi?”
(*Benedetta Barone è blogger e scrive su Linkiesta)
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-05-24 05:17:16 ,
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Il post dal titolo: Vanessa Nakate: “Un mondo diverso non è solo necessario, è anche possibile” scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-05-24 05:17:16 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue